MARIENI SAREDO

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2) IL PATTO D'ACCIAIO E LO SCOPPIO DELLA GUERRA

 


Nei seguenti capitoli sono riportati brani dal volume RICORDI DI UN DIPLOMATICO - Dal Fascio allo sfascio, edito nel 1992 dalla casa Editrice S. Marco di Trescore Balneario (BG).  Allo scopo di chiarire ed ampliare la conoscenza degli avvenimenti e dei personaggi citati sono stati aggiunti links a siti web e fotografie, molte provenienti dall'archivio personale.  

                                           

 2) Il patto d'acciaio e lo scoppio della guerra (pag 83 a pag. 118)

La situazione generale europea si andava quindi sempre più aggravando. I franco-inglesi, nonostante la pessima figura e il tradimento da loro compiuto a Monaco nel '38 a danno della povera Cecoslovacchia alleata, non avevano moderato il loro atteggiamento di arroganza e di sussiego nei nostri riguardi e affrontavano il riarmo. La tensione, quindi, cresceva per cui Hitler intendeva accelerare i tempi dei suoi programmi di dominio europeo, sicuro che gli Occidentali si sarebbero comportati come a Monaco, spinto in questo giudizio erroneo dal peggiore dei suoi Consiglieri, il criminale Ribbentrop diventato in poco tempo da commerciante di vino in Canada, Ambasciatore a Londra e poi Ministro degli Esteri.
Il pavido atteggiamento a Monaco degli alleati occidentali ingannò anche Mussolini, il mediatore dell'accordo. Egli si persuase sempre più che di fronte a degli imbecilli non si poteva fare altrimenti che andare d'accordo con i tedeschi per evitare il peggio.
Dopo molti incontri, espressioni di solidarietà e discorsi di amicizia si arrivo così, purtroppo, nel maggio del 1939, alla firma del cosiddetto Patto d'acciaio e cioè all'alleanza fra i due dittatori e i relativi Paesi. I freni di Ciano, infatti, erano troppo deboli e tardivi e non funzionarono. Ciano non aveva nemmeno pensato di preparare un nostro progetto e accettò in pieno quello di Ribbentrop. Quando, con i colleghi Antonio Sanfelice di Monteforte e Morozzo della Rocca, avemmo la possibilità di leggerne il testo a Berlino, al momento della firma, fummo tutti presi da una stretta al cuore!
Era possibile che in Italia, patria del diritto, non si sapesse stilare un patto di alleanza? Non era altro che una cambiale in bianco in mano alla Germania la quale, però, non ne richiese mai perentoriamente il pagamento tranne che al momento dell'attacco alla Francia. Molti tedeschi, soprattutto i militari che conoscevano la nostra debolezza e impreparazione, avrebbero forse preferito che noi restassimo militarmente fuori dal conflitto, limitandoci a dar loro rifornimenti e prodotti industriali.


Si precipitava, così, verso la guerra per quanto ancora ben pochi ci credessero e quasi tutti, compresi i militari,

A dx Francesco Jacomoni di S.Savino

il miracolo di tenercene fuori, cosa inverosimile dato il tenore dell'accordo, la bellicosità del Duce e l'assoluta volontà di Hitler di far precipitare le cose. Ci si cullava ancora nelle illusioni e non ci si preparava né dal punto di vista militare né da quello economico! Si continuava, però, a spendere e a spandere. In Albania si facevano grandi lavori pubblici: strade che mancavano assolutamente, caserme, scuole e palazzi governativi. Lo "yes man" Jacomoni, già Ministro plenipotenziario a Tirana e ora Viceré, per ingraziarsi gli albanesi pagava gli operai del paese che non lavoravano (da buoni mussulmani non avevano mai lavorato e facevano sgobbare solo le donne) più degli operai italiani che invece ovviamente lavoravano, creando il malcontento di questi  ultimi.         

Si è spesso parlato delle responsabilità dello scoppio della 2a guerra mondiale: senza alcun dubbio le cause e le responsabilità immediate furono tutte naziste ed anche italiane o, per essere più esatti, fasciste.
I
fatti che portarono alla 2a  guerra mondiale sono noti ed esattamente e onestamente descritti nell'ultimo volume pubblicato da Dino Grandi, già Ambasciatore a Londra, e richiamato da Mussolini su richiesta dei nazisti perché contrario all'alleanza con i tedeschi e alla guerra.
Le cause lontane e, quindi, parte delle responsabilità iniziali furono anche degli alleati occidentali: soprattutto per la mancanza di chiarezza degli Inglesi! Non si poteva pretendere di mortificare e di isolare all'infinito i due Paesi più vitali ed espansivi d'Europa: la Germania e l'Italia. Sarebbe stato logico lasciar loro una valvola di sicurezza e di sfogo verso sud e verso est. Tutta la politica francese durante il tempo intercorso tra le due guerre fu diretta a creare patti ed alleanze con la Polonia (la piccola Intesa) ed a compiere tentativi di agganciamento dell'Unione Sovietica. L'Italia era stata sempre maltrattata, come dimostrano la difesa ad oltranza a Versailles e le pretese iugoslave contro gli interessi della vecchia alleata Italia che, pure, date le sue modeste risorse, aveva sopportato immensi sacrifici in favore dell'Intesa, nel 1915-18.
I
soldati italiani, ovunque erano andati per le piccole imprese coloniali — che non erano pericolose per nessuno — avevano trovato armi e munizioni francesi ed anche inglesi, oltre che svizzere, belghe e sve-desi, le quali erano usate contro i Paesi occupanti. Questo avveniva sino dalla fine del secolo scorso, nella prima guerra di Etiopia e in Libia nel 1911, cioè in tempi prefascisti! Io stesso possiedo alcune famigerate pallottole dum dum — proibite dalle convenzioni internazionali perché producono ferite orribili e inguaribili — fabbricate nella puritana Gran Bretagna, insieme ad un fucile Enfield con lo stemma della Guardia imperiale etiopica avuto nel 1936 ad Addis Abeba da un ufficiale mio amico che me ne aveva fatto dono.
II fascismo e il nazismo rappresentarono movimenti di reazione contro la situazione interna dei due Paesi, conseguenza, in particolare, del malgoverno dei vari partiti, ma erano anche rivolti sia contro la situazione internazionale dominata dai Paesi ricchi e soddisfatti e sia contro il monopolio capitalistico.

I
movimenti rivoluzionari italiano e tedesco, infatti, non erano di "destra", come erroneamente continuano ad affermare pseudo-storici di origine giornalistica nei vari Paesi, ma erano di matrice socialista, come i due loro stessi capi.
I
due movimenti, infatti, reclutavano prevalentemente i loro quadri fra il proletariato e, soprattutto, nei più bassi strati sociali. Erano intrinsecamente antimonarchici, antireligiosi, antiaristocratici e anti-capitalistici e anche, checché se ne dica, antimilitaristi, cioè contrari agli eserciti regolari e tradizionali creando, in antagonismo a questi ultimi, le proprie forze militari: S.S. e Camicie nere.
I
due movimenti totalitari combattevano il comunismo per rivalità con quest'ultimo e per la sua peculiarità di movimento a carattere universalistico e internazionale da cui derivava la sua pericolosità in quanto provocava consensi e quinte colonne in tutti i Paesi del mondo.
Non basta questa avversione al comunismo per considerare di destra fascismo e nazismo che invece erano molto più vicini al loro avversario di quanto non si creda, soprattutto il nazismo per la sua vocazione totalitaria e per i suoi metodi inumani.
Ad avvelenare le relazioni con le democrazie occidentali avevano contribuito largamente i fuorusciti italiani i quali accusarono persino, di volta in volta, Mussolini, Ciano, Anfuso, il SIM e il Colonnello Emanuele dell'assassinio dei fratelli Rosselli, senza prove concrete ed assolute.
Non pare, comunque, che Mussolini avesse mai pensato a fare assassinare qualcuno, essendo se non altro abbastanza intelligente per capire che non era proprio il caso di creare dei martiri. Lo dimostra il fatto che aveva facilitato la fuga dall'Italia di molti antifascisti, tra i quali Nenni. Ad alcuni di essi faceva persino pagare delle pensioni dall'Ambasciata a Parigi o addirittura dall'OVRA. Negli archivi di quella Ambasciata esistevano elenchi di tali pagamenti che, ovviamente, alla caduta del fascismo furono fatti sparire, come avvenne per gli archivi dell'OVRA al Ministero dell'Interno, ove esistevano prove delle malefatte di molti antifascisti.
Ci si avvicinava così, sempre di più, alla pazzia irreparabile, per quanto ancora ben pochi ci credessero; specialmente incredule erano le due democrazie occidentali. Si ingannavano attribuendo tutto alla solita retorica di Mussolini. L'incredulità era tanto più forte e diffusa in quanto da noi non si faceva nulla per prepararsi alle ostilità.
Il miserevole spettacolo di debolezza e di tradimento dato dagli alleati occidentali a Monaco nei riguardi della Cecoslovacchia, aveva persuaso sempre più i due dittatori della impreparazione e della incapacità morale delle due democrazie a far fronte ai loro impegni. Questa fu, senza dubbio, un'altra causa della corsa immediata alla guerra.

Bernardo Attolico era figlio di tenaci, laboriosi e semplici lavoratori della fertile terra cannetana. A soli 21 anni, all’Università di Roma nel 1901 conseguì brillantemente la laurea in Giurisprudenza. Profondo studioso di Economia Politica a 22 anni entrò, come professore di ruolo, nell’Istituto Tecnico di Foggia alla cattedra di Scienze Finanziarie. Nominato Ispettore Governativo dell’Emigrazione si recò in America, Canada e Turchia.
A seguito delle sue illuminate e dotte relazioni sul fenomeno emigratorio fu promosso e accreditato presso la Direzione Generale dell’Agricoltura. Nel 1916, in piena guerra mondiale, raggiunse Londra in qualità di Capo della Delegazione al servizio rifornimenti bellici. Dopo il conflitto 1915-18 fu Sottosegretario alla Lega delle Nazioni a Ginevra. Dopo essere stato Alto Commissario a Danzica nei 1921 venne nominato Vice Segretario Generale delle nazioni. Nominato Ambasciatore a Rio di Janero successivamente passò all’Ambasciata Russa dal 1930 all’aprile 1935. A Berlino dal 1935 al 1940 fu l’Ambasciatore del periodo bellico. La sua carriera ebbe termine a Roma in qualità di Ambasciatore presso la Santa Sede. Bernardo Attolico, lavoratore durissimo, non sempre rendeva facile la vita dei suoi collaboratori che però trovavano in lui, nell’apprendere il difficile compito della diplomazia, un maestro di altissima classe. Egli infatti sapeva applicare la sua attenzione non soltanto alle grandi questioni ed ai gravi problemi politici, ma anche ai dettagli, talvolta rilevantisi di notevole interesse, dell’esistenza diplomatica quotidiana. Estremamente miope, Bernardo Attolico poteva sembrare talvolta assente e lontano negli ambienti sociali e diplomatici da lui frequentati. Viceversa per la sua intelligenza naturale, per la sua tenacia e per la sua abilità, era sempre tra gli agenti stranieri tra i meglio informati e riusciva a farsi circondare dalla considerazione di tutti. Di aspetto piuttosto stanco, egli doveva poi morire nel 1942, in ancora valida età, veramente consumato dal lavoro tenacemente compiuto.
La Gazzetta del Mezzogiorno del 12 febbraio 1942 riportava:
«LE SOLENNI ONORANZE DI ROMA ALLA SALMA DELL’ AMBASCIATORE ATTOLICO. Le condoglianze alla vedova da parte del Papa, dei Sovrani e di Hitler. ROMA. I funerali dell’Ambasciatore Bernardo Attolico si sono svolti stamani nella Chiesa del Gesù. L’alta carica ricoperta, l’opera svolta, le simpatie suscitate nella sua alacre e nobile vita dall’illustre scomparso hanno dato alle estreme onoranze un carattere spontaneo di solennità, carattere marcato ancora più dal numero e dal rango delle personalità intervenute.»
http://66.71.134.199/dev/index.php?option=com_content&task=view&id=44&Itemid=197

Da noi i soli che fecero di tutto per allontanare il pericolo del conflitto furono due diplomatici, l'Ambasciatore a Berlino, Attolico e quello a Mosca, Rosso, oltre all'addetto militare a Mosca, Col. Wiel.
Il primo fu presto richiamato, su richiesta dei tedeschi, e destinato alla Santa Sede. Con i tedeschi lo aveva minato il suo Consigliere Ministro Magistrati "yes man" che gli faceva da contraltare. L'Ambasciatore Rosso, che prevedeva l'estensione della guerra alla Russia, non faceva che descrivere, unitamente al suo addetto militare, l'imponenza e la inesauribile consistenza delle risorse sovietiche.
A far precipitare il conflitto, come noto, fu ad ogni modo l'atteggiamento dell'U.R.S.S., cioè di Stalin desideroso, ad ogni costo, che i Paesi "capitalisti" si azzuffassero e si distruggessero a vicenda, a maggior gloria ed espansione del comunismo.
Il suo rifiuto alle profferte di amicizia e di alleanza anglo-francesi e la pronta adesione all'accordo proposto da Ribbentrop furono destinati esclusivamente a rendere inevitabile il conflitto ed a recuperare per Mosca i confini dell'impero zarista.
Il negoziato Ribbentrop-Molotov era avvenuto dietro le nostre spalle con violazione da parte dei tedeschi, degli impegni del Patto d'acciaio, con grande sdegno di Ciano che vedeva chiaramente arrivare con ciò la guerra, e con quale preoccupazione di Mussolini, che era pur sempre anticomunista.
I
primi indizi delle trattative tedesco-sovietiche si ebbero a Milano durante l'incontro Ciano-Ribbentrop. A Salisburgo, poi, l'11 e 12 agosto 1939 si ebbe notizia dell'imminente firma, a Mosca, dell'accordo, unitamente a quella della decisione di aggredire la Polonia.
A questo punto si potrebbero riempire volumi interi per descrivere la conversione che avvenne di colpo in tutti i partiti comunisti d'Europa, con Togliatti alla testa, i quali divennero immediatamente filotedeschi e cominciarono a sabotare lo sforzo di riarmo dei Paesi occidentali volto contro la minaccia del nazismo.
L'11 e 12 agosto 1939 a Salisburgo e Berchtesgaden, com'è noto, Ribbentrop disse al nostro Ministro che l'invasione della Polonia era stata decisa per il fatto che essa non accettava le richieste esorbitanti dei tedeschi. Ciano, molto impressionato, perorò la causa della pace e della convocazione di un'altra Conferenza. Disse che altrimenti sarebbe stata la guerra generale. Ribbentrop si mise a ridere rispondendo che i francesi e gli inglesi, corrotti e imbelli, non si sarebbero mai mossi. A questo punto Ciano fece intendere che i tedeschi si erano spesso ingannati in politica estera e che, comunque, era la seconda volta che la Germania violava il Patto d'acciaio prendendo gravissime iniziative, come l'accordo con l'URSS e la guerra alla Polonia,
senza consultare previamente l'alleato italiano come da impegni assunti, ripetendo così l'atteggiamento del 1914 della Germania e dell'Austria verso l'Italia.
Poco dopo ripetè le stesse cose inutilmente anche con Hitler. Queste affermazioni di Ciano dovevano costargli la vita. Infatti furono Ribbentrop e Hitler che prepararono la fucilazione di Ciano a Verona nel 1943 prendendo a pretesto il voto del Gran Consiglio contro Mussolini. Ad un pranzo offerto da Ribbentrop Ciano si alzò prima della fine e se ne andò, seguito da tutti i suoi collaboratori, dopo aver rivolto un freddissimo saluto all'anfitrione. Arrivato nel cortile si avvide che non c'erano le macchine ufficiali. Ovviamente gli autisti, ritenendo il pranzo di durata normale, erano andati a rifocillarsi, al che Ciano ad alta voce e sghignazzando disse: Mi pare che anche qui in Germania ci sia molto disordine".
Appena tornato a Roma il Ministro degli Esteri si adoperò — troppo tardi — per impedire o almeno ritardare il più possibile l'entrata in guerra del nostro Paese, palesando anche apertamente il suo spirito antitedesco, specie fra i suoi ammiratori.

Roberto Farinacci


Riuscì a far accettare dal Duce il progetto di dichiarazione della "non belligeranza" che purtroppo durò solo pochi mesi perché Mussolini, per quanto infastidito dall'atteggiamento dei nazisti, era sempre più bellicista e non ascoltava il suo Ministro degli Esteri e i suoi Ambasciatori, ma piuttosto le sollecitazioni dei due individui più sprovveduti del suo regime: Farinacci e il giornalista Mario Appelius, fervidi interventisti filo-tedeschi.
Dino Grandi, ormai Ministro di Grazia e Giustizia e Presidente della Camera, — dopo il doppio tradimento tedesco per non avere consultato l'Italia prima di dichiarare la guerra alla Polonia e prima di avviare le trattative del Patto di amicizia con l'URSS che rovesciava completamente la politica seguita fino allora — sosteneva con ragione che si doveva denunciare l'alleanza, ma Mussolini aveva paura della reazione dei tedeschi e temeva di essere considerato da loro un traditore dell'amicizia tra i due regimi.
     
pag 88....omissis....pag. 94
 

Intanto il Duce aveva riunito la Commissione Suprema di Difesa che avrebbe dovuto discutere la eventualità di una dichiarazione di guerra. Egli diede la parola via via a tutti i presenti, ma nessuno ebbe il coraggio di opporsi decisamente all'entrata in guerra; meno di tutti Badoglio che invece approvò le proposte del Duce circa una guerra di breve durata (!), anche se ciò contrasta con quanto scritto dalla sua cugina biografa, signora Vailati, sua ammiratrice. L'unico che coraggiosamente parlò della impossibilità di sostenere uno sforzo bellico di qualche intensità fu il Generale Favagrossa, Commissario alle fabbricazioni di guerra, che insistette a lungo sulla assoluta deficienza di scorte di materie prime per la industria e di petrolio per le forze armate, aggiungendo che i tedeschi non onoravano gli impegni presi di rifornimenti all'Italia mandandoci col contagocce quanto da noi richiesto. Se Badoglio, considerato purtroppo l'esperto, il tecnico (!) si fosse opposto e dimesso dalla sua carica, certo lo avrebbe seguito almeno una dozzina di generali, ammiragli e ambasciatori e ciò avrebbe offerto il destro al Re per respingere la dichiarazione di guerra. Badoglio era l'unico che aveva il diritto e il dovere di farlo, perché, come diceva la legge istitutiva della carica di Capo di Stato Maggiore generale, la sua era una mansione politico-militate.
Il Ministro della Real Casa, Acquarone, per giudicare quanti membri del Gran Consiglio erano contrari alla guerra, conferì con loro ottenendo la dimostrazione che nessuno aveva il coraggio di prendere una iniziativa del genere e Mussolini poi non si degnò nemmeno di convocare la massima Assise del regime, violando così la stessa legge da lui voluta.

Il Re, pur avendo accettato la dittatura, si riteneva ancora un sovrano costituzionale e avrebbe voluto, per arrestare gli eventi, che prima un organo ufficiale si pronunciasse. Non riunendosi più il Parlamento lo avrebbe dovuto fare il Gran Consiglio.
Molti incolpano il Re per non essersi opposto alla Guerra: bisogna però riconoscere che la cosa sarebbe stata molto difficile se non addirittura impossibile in quanto il Sovrano era ormai privo di potere. Quando quasi tutti i cosiddetti "esperti" si erano dimostrati favorevoli, al Capo dello Stato, in quelle condizioni, restava poco da fare.

La colpa della leggerezza con cui fu presa la decisione oltre che a Badoglio risale anche allo Stato Maggiore da lui allevato, in quanto agli alti gradi egli aveva permesso di salire solo ai suoi protetti, per lo più generali inetti e politicanti.
Lo Stato Maggiore, infatti, nelle relazioni sulla "situazione" che, durante tutta la nostra "non belligeranza", inviava al Duce e ai componenti la Commissione di Difesa — tra i quali il Ministro degli Esteri — non faceva che magnificare la invincibilità della Francia arroccata dietro la "imprendibile" linea Maginot e servita dal primo Stato Maggiore del mondo (secondo i livelli badogliani!), vero osso duro per i tedeschi ancora impreparati! Venivano invece minimizzate le possibilità degli inglesi, perché non avevano molte divisioni di fanteria!
Del fatto che la Gran Bretagna fosse un'isola difesa da una potente flotta e da una moderna aviazione e rifornita di materiali e di appoggi finanziari e politici dall'America, nemmeno una parola!
Pertanto, quando la Francia fu debellata cadendo quasi senza combattere (si parlò di sole poche migliaia di morti francesi durante tutta l'offensiva tedesca) per non essere completamente distratta come la Polonia, i cosiddetti "responsabili" ed "esperti" (primo fra tutti Hitler) credettero la guerra praticamente vinta e quindi, secondo loro, anche noi, pur se impreparati, potevamo entrare nel conflitto che sarebbe durato, al massimo, tre mesi!
I
cosiddetti esperti ingannarono anche il Re e Mussolini i quali commisero l'immenso errore di acconsentire, conducendoci alla rovina. In parte vanno perdonati i due capi perché molto hanno amato l'Italia: hanno però sbagliato illudendosi di fare grande la Patria. Ma lo sbaglio è stato enorme!

Frattanto dagli Stati Uniti Roosevelt aveva fatto un estremo tentativo, anche se alquanto tardivo. Aveva fatto sapere a Mussolini che, se l'Italia fosse rimasta fuori della guerra, al momento della futura pace l'America avrebbe imposto tutto il suo peso per farci avere dei compensi (Corsica e Tunisia). Purtroppo era come parlare dell'eredità a babbo morto. Avuta da Mussolini una risposta poco cortese, il Presidente americano pregò il Papa di intervenire perché l'Italia si mantenesse fuori del conflitto. Il Papa affidò il compito al P. Tacchi Venturi che si diceva fosse quello che aveva convertito il Duce e lo aveva fatto sposare. Mussolini però non lo volle ricevere, sapendo cosa sarebbe venuto a dirgli. Lo fece ricevere da Ciano dal quale io lo accompagnai. Il Ministro, presso il quale P. Tacchi Venturi insisteva ripetendo le promesse rooseveltiane, dovette rispondere che ormai era troppo tardi, che la guerra era decisa e la dichiarazione della stessa avrebbe seguito a brevissima scadenza. Il povero vecchio gesuita ne fu sconvolto ed uscì stordito e barcollante dalla stanza di Ciano, tanto che io dovetti sorreggerlo quando lo vidi comparire nella sala d'aspetto, detta del Colleoni, temendo gli venisse un malore. Egli, nello smarrimento, invece di riprendere il cappello da prete posato sul tavolo di marmo al centro della sala, si stava mettendo in testa il portacenere che era vicino!
Ciano, più prudente e meno esaltato di Mussolini, stava imbastendo un piano che, a quanto pare, consisteva nel costituire, sotto la presidenza dell'Italia, una lega di Paesi neutrali: Spagna, Turchia, Svezia, Giappone che non era ancora in guerra, Argentina, Brasile, etc. Questa Lega abbastanza forte poteva arbitrare la pace non appena i belligeranti dimostrassero segni di stanchezza e di delusione. Ma l'azione di Ciano era stata troppo tardiva, debole e indecisa. Tutti eravamo sconvolti e preoccupati, come il bravo P. Tacchi Venturi. Il timore più grave tra alcuni di noi diplomatici che conoscevamo gli Stati Uniti, era soprattutto un possibile intervento dell'America nel conflitto, cosa che avrebbe fatto mutare la situazione in modo assolutamente disastroso per noi.

Intanto gli avvenimenti precipitarono e si arrivò alla dichiarazione formale di guerra. Noi procedevamo tradizionalmente — non alla giapponese! — Fui pertanto incaricato di convocare separatamente a mezz'ora di distanza l'uno dall'altro gli Ambasciatori di Gran Bretagna e di Francia. L'inglese venne e Ciano gli lesse la nota che, dopo brevi considerazioni, dichiarava che l'Italia si sarebbe ritenuta in stato di guerra con l'Impero britannico a partire dalla mezzanotte del io giugno. Da buon anglosassone l'Ambasciatore non si scompose, pregò invece Ciano di rileggergli lentamente la nota per poter prendere appunti.
Invece il francese Francois Poncet, che era stato prima Ambasciatore a Berlino e aveva già ricevuto la dichiarazione di guerra del Reich al suo Paese, uscendo da Ciano per entrare nell'ascensore da me accompagnato aveva le lagrime agli occhi e disse: "la France est perdue". La Francia infatti era crollata ignominiosamente opponendo scarsa resistenza, il fronte popolare e i governi socialisti avevano minato il morale dell'esercito e del Paese. I poveri morti di Verdun dovevano rivoltarsi nelle loro tombe! I tedeschi avevano sfondato il fronte conquistando, senza colpo ferire, il forte munitissimo di Eben Emael che formava cerniera fra lo schieramento francese e quello belga... che aveva scarsissima difesa contraerea attiva! Erano stati pochi paracadutisti germanici ad atterrare con alianti fra le cupole corazzate del forte e a infilare con le mani dei cartocci di gelatina esplosiva nelle volate dei pezzi! La guarnigione del forte era uscita con le mani alzate e si era arresa. È noto che il nostro Stato Maggiore aveva fornito a quello tedesco i piani del forte, piani procurati da un tenente colonnello del Genio che era emigrato in Francia anni prima fingendosi antifascista e comunista e aveva lavorato per molto tempo come cementista alla costruzione delle fortificazioni e le aveva fotografate. I tedeschi avevano rifabbricato, in una radura di una foresta, un modello al naturale e su questo i loro paracadutisti si erano allenati, per mesi, all'operazione! Dalla breccia così creata le forze germaniche si erano riversate a tergo della Maginot che cadde per aggiramento.
La "dróle de guerre" e la propaganda dei comunisti divenuti filonazisti dopo l'accordo Ribbentrop-Molotov, avevano distrutto la compagine dell'esercito francese. Per di più l'inetto comandante in capo, Gamelin, generale massone e politicante degno amico di Badoglio, non aveva provveduto le fortificazioni di moderne armi contraeree, né le truppe mobili di sufficienti pezzi anticarro per cui dovevano sparare contro i corazzati tedeschi con i vecchi cannoni da 75 da campagna, inadatti allo scopo. Inoltre, cosa ancor più grave, aveva spedito verso il Nord, per aiutare i Belgi che combattevano molto fiaccamente ed erano poco e male aiutati dal Corpo di spedizione britannico, i Corpi d'armata della riserva strategica destinati invece a tappare le falle che eventualmente si fossero aperte nelle fortificazioni.

Si era in una parola verificato alla lettera quanto aveva insegnato mio Padre all'Accademia di Modena molti anni prima e che cioè le fortificazioni senza sostegno di truppe mobili sono destinate a durare poco. E sì che l'avanzata tedesca era stata realizzata da punte corazzate non eccessivamente forti, bensì appoggiate dagli Stukas in perfetta cooperazione con le truppe di terra. Questo era stato il segreto del "blitz Krieg" tedesco. Non appena infatti si incontrava un centro di resistenza francese, chiamati per radio arrivavano i bombardieri in picchiata ad infrangere la resistenza, creando però più terrore che gravi danni. L'avanzata tedesca era stata tanto rapida e il disordine francese tanto grande che non erano stati fatti nemmeno saltare molti ponti sui fiumi né i depositi di benzina e alcuni reparti di carri tedeschi, molto distaccati dal grosso delle forze di fanteria che avanzava a piedi a distanza, si erano riforniti di carburante addirittura alle stazioni di servizio civili sulle strade principali! Il Generale Gamelin fu finalmente destituito e a lui successe il Generale Weygand, un vero soldato molto in gamba anche se anziano e che cercò come potè di riorganizzare l'esercito e di imbastire una disperata resistenza, ma ormai era troppo tardi e i tedeschi dilagavano ovunque.

I francesi, alla nostra entrata in guerra, accusarono subito la "sorella latina" di tradimento e di pugnalata nella schiena. Queste erano esagerazioni perché, se in una cosa Mussolini era stato chiaro, anche troppo, era proprio nelle minacce di guerra e nelle rivendicazioni contro la Francia i cui governi le avevano invece considerate un bluff. Bene, quindi, rispose il nostro primo Incaricato d'Affari a Parigi, dopo la guerra ad un francese che ripeteva dette accuse, dicendogli: "Non nelle spalle ma nella pancia vi è stato piantato il pugnale, perché le spalle le avevate già rivolte ai tedeschi, scappando!".
L'inizio delle ostilità da parte nostra però dimostrò quello che temevamo e cioè l'insufficienza del comando e la mancanza di armi moderne ed efficaci.
Sarebbe stato assolutamente necessario prendere Malta di sorpresa alla prima ora del primo giorno di guerra... alla giapponese. Sarebbe bastato un reggimento di paracadutisti, perché Malta mancava allora di efficienti difese contraeree e di truppe di terra, mentre abbondava di grosse artiglierie navali, ma noi non avevamo allora né i paracadutisti né tanto meno aerei adatti a trasportarli!

"AGGREDISCI E VINCERAI" Storia della divisione motorizzata 'Trieste' di Salvatore Loi   Ed. Mursia.
Nell'aprile del 1943, il fronte d'Africa si è ormai ristretto alla Tunisia e degli entusiasmi che hanno accompagnato le imprese di Rommel attraverso la Marmarica, rimane soltanto il ricordo. In quei giorni, a Takrouna, la "Trieste" è impegnata nella sua ultima, eroica battaglia nel disperato tentativo di arginare l'avanzata dell'8ª armata britannica. Si conclude così la sua storia gloriosa, iniziata sul fronte occidentale contro la Francia nel 1940 e proseguita l'anno successivo in Africa settentrionale dove combatte, da Tobruk a El Alamein, in coordinamento con l'Afrikakorps di Rommel e nella successiva ritirata verso il confine tunisino. Prima della resa di Capo Bon del 13 maggio 1943, la 101ª divisione motorizzata "Trieste" viene sciolta ufficialmente. Nel dopoguerra le tradizioni legate al suo nome sono ereditate da altri reparti dell'esercito italiano.

In Libia, nel deserto, si avanzava lentamente a piedi! Due unità di meharisti libici, la spada dell'Islam tanto decantata dal Duce, si squagliarono come neve al sole ai primi colpi di cannone, dimostrando la incapacità degli arabi a combattere una guerra moderna e lasciando ufficiali e sottufficiali italiani in mezzo al deserto alla mercé del nemico. Tra di essi c'erano due miei colleghi che erano partiti volontari.
Cominciava qualche incursione di aerei nemici. La Milizia contraerea, cui era demandata la difesa del territorio, composta di vecchietti male in arnese che andavano alle loro postazioni la sera con fiaschi e fagotti di vettovaglie, apriva il fuoco all'impazzata, spesso non curandosi nemmeno di graduare a tempo le spolette delle granate che pertanto scoppiavano quando ricadevano in città! E vero che anche se avessero saputo sparare, con i pezzi in loro dotazione, non avrebbero fatto di più contro il nemico.
Sul fronte occidentale si avanzò al massimo, in alcuni punti, una decina di chilometri sino alla prima forte linea di difesa francese e conquistando alcuni bunkers, occupando Mentone e qualche altro villaggio. Al Piccolo S. Bernardo un incapace generale d'armata, protetto da Badoglio, fece distruggere alcune decine di carri perché dovevano scendere in fila indiana dal Passo lungo la strada nazionale dove venivano presi d'infilata dalle batterie in caverne francesi! Se c'era un punto impraticabile ai carri — che non potevano distendersi sul terreno — era proprio quello! Almeno Cadorna, nella prima guerra mondiale, silurava i bestioni come quello, senza pietà: in complesso fu un insuccesso totale.

L'armistizio con la Francia scoppiò all'improvviso in quanto i tedeschi non vollero procrastinarlo per darci tempo di migliorare le nostre posizioni. La mia unità, Divisione motorizzata Trieste che era stata accampata nel Monferrato in attesa dello sfondamento del fronte che, come era logico, non poteva avvenire, fu rimandata indietro. Io, insieme agli altri colleghi diplomatici, fui congedato su richiesta del Ministero degli Esteri che aveva bisogno dei suoi funzionari — allora eravamo veramente pochi — per costituire le "Commissioni d'armistizio" nei territori occupati: Savoia, Varo, Corsica e in Tunisia e Algeria che scioccamente i tedeschi non vollero occupare, illudendosi ancora di poter combinare... una pace con le Potenze occidentali.
Quel richiamo al Ministero non mi fece diventare un eroe ma forse mi salvò la vita, perché la Divisione motorizzata Trieste, cui appartenevo, fu poi mandata in Libia e quasi completamente distrutta. Moltissimi miei compagni ufficiali di complemento caddero in combattimento e molti altri furono feriti e finirono prigionieri in India.

Hitler, dopo lo sfondamento del fronte francese, commise uno dei più gravi errori di tutta la guerra, errore che forse gli costò la vittoria. Egli aveva sempre ritenuto di poter fare la pace con gli inglesi (in questo contesto bisogna considerare l'iniziativa assurda di Hess paracadutatosi in Scozia per offrire la pace) dimostrando di non conoscere affatto la tenacia degli stessi pur considerandoli cugini e... ariani, soltanto corrotti dal capitalismo! Le illusioni hitleriane erano pazzesche, tanto più con il nuovo governo di Churchill che aveva energia da vendere e tutto il mordente che mancava ai suoi predecessori. Il Fùhrer non era mai uscito dalla Germania, ma nella sua immensa presunzione pretendeva di conoscere il mondo e sapere tutto!
Pertanto egli, pur avendolo circondato e potendolo distruggere data la supremazia aerea che aveva in quel momento, lasciò reimbarcare il Corpo di spedizione britannico, le uniche truppe addestrate di cui il Regno Unito allora disponeva e che a dire il vero non si erano coperte di gloria sul suolo francese. Gli inglesi si fecero gran vanto del successo della loro ritirata strategica attraverso la Manica — che infatti era l'unica cosa da farsi — ma il merito va piuttosto attribuito alla dabbenaggine di Hitler che diede ordine di non spingere le cose a fondo contro il Corpo di spedizione e che dirottò l'offensiva tedesca verso Parigi ove egli voleva entrare e godere il trionfo.
In quel frattempo Hitler tenne un Consiglio di guerra. In esso il grande Ammiraglio Raeder — che aveva fatto requisire e raggruppare i natanti di ogni genere nei Paesi occupati dalla Norvegia alla Francia — espose il suo piano di sbarco sulle coste inglesi. Bisogna, egli spiegò, sbarcarvi tre Corpi d'Armata: uno forse sarebbe stato perduto in mare ma gli altri due sarebbero

Stukas del VIII Fliegercorps - fronte Russo-Polacco

arrivati e bastati ad occupare il Regno Unito che in quel momento non disponeva di armamenti sufficienti.
L'impresa, anche se molto rischiosa, era forse fattibile e comunque era l'unica che avrebbe permesso di chiudere vittoriosamente il conflitto, prima di un eventuale intervento decisivo americano che molti di noi diplomatici paventavamo sempre. Ma Göring, già pieno di droga e di grasso, si oppose al progetto, dicendo che era inutile rischiare in mare la vita di tanti prodi soldati tedeschi; avrebbe messo lui in ginocchio l'Inghilterra con la Luftwaffe! La profezia però si dimostrò erronea. Si era dato tempo ai britannici di rafforzare le loro formazioni aeree da caccia che potevano venire dirette a massa sulle formazioni della
 Luftwaffe tempestivamente scoperte dai radar che i tedeschi ancora non avevano.

Circa la discussione al Consiglio di guerra germanico noi avemmo qualche sentore attraverso i nostri ufficiali di collegamento col comando tedesco. Il meglio informato di tutti, e per questo sempre in urto con la nostra Ambasciata in mano ad incompetenti, come Alfieri, che era succeduto ad Attolico, era il maggiore Renzetti nominato Console Generale a Berlino. Costui era intimo amico di Göring e di altri gerarchi, nonostante avesse una moglie svedese, ebrea.

Giuseppe Renzetti nasce ad Ascoli Piceno il 4 novembre 1891.
Nel 1911 è sottotenente di fanteria. Al termine della guerra di Libia, nel corso della quale ottiene alcune decorazioni e ricompense, è destinato al 26° reggimento di Fanteria a Piacenza. Nel 1913 è assegnato al 17° Reggimento di Fanteria, in Ascoli Piceno. Viene promosso tenente nel 1914, capitano nel corso della I guerra mondiale, maggiore nel 1918. Numerose altre decorazioni ed onorificenze si aggiungono a quelle già guadagnate. Raggiunge il grado di colonnello nel 1939, con anzianità riferita al 1937. Nel corso della sua carriera diplomatica, però, come pure nei testi storici che trattano di lui, è identificato come il "maggiore" Renzetti. Alla fine della guerra è designato membro della missione militare italiana per l'Alta Slesia e, successivamente, comandante della sezione italiana nell'ambito della Commissione militare alleata.
Durante la permanenza in Alta Slesia Renzetti stringe numerose amicizie che risulteranno preziose nei lunghi anni che trascorrerà a Berlino. Qui nel nel marzo 1922 conosce Mussolini.
Nel 1924 ricopre la carica di console generale italiano a Lipsia, fino al 1926. Di lì a poco, nel gennaio 1927, si sposa con Susanne von Koch, figlia di notabili ebrei di Gleiwitz.
Designato fiduciario dei Fasci all'estero nello stato germanico, si lega ai movimenti della destra tedesca. E' Presidente della Unione Italiana delle Camere di Commercio a Berlino, carica che gli è stata affidata a copertura del suo reale incarico, che è quello di mantenere contatti tra Mussolini e gli esponenti della destra tedesca. Mantiene tale ruolo dal 1929 al 1933 e, dopo che i nazisti hanno assunto il potere, rimane un canale d'informazioni privilegiate. Diviene prima reggente e poi Console generale d'Italia a Berlino. L'avvento dei nazisti al potere rende difficile la convivenza di Renzetti con l'ambasciatore a Berlino, Cerruti il quale ne ottiene l'allontanamento con disappunto dei nazisti i quali a loro volta ottengono che Cerruti venga trasferito in altra sede e Renzetti, dopo aver trascorso alcuni mesi come console generale d'Italia a San Francisco, ritornerà ad occupare la medesima carica a Berlino. Göring sull'accaduto attribuisce un ruolo negativo determinante alla moglie di Cerruti, definita con un certo disprezzo “ebrea ungherese”, quando anche la moglie di Renzetti apparteneva alla stessa razza! Il ritorno di Renzetti a Berlino, quindi, è stato provocato da pressioni tedesche recepite  da Ciano ma, molto probabilmente, anche da Mussolini. Renzetti infatti era stato l'uomo di fiducia del Duce, incaricato di mantenere rapporti con i rappresentanti della destra tedesca e, soprattutto con i nazionalsocialisti dopo le loro prime affermazioni elettorali. In tale veste aveva acquistato la piena fiducia e l'amicizia di Hitler, Göring e tanti altri gerarchi, che cercavano una via di comunicazione sicura e diretta con Mussolini. Alla fine del 1936 egli è di nuovo a Berlino, come reggente del consolato generale. Nel giugno 1941 si trasferisce a Stoccolma come inviato straordinario e ministro plenipotenziario in Svezia. Dopo il 25 luglio 1943 collabora con il governo di Badoglio e, al termine del conflitto, viene sottoposto ad epurazione. Risiede gli ultimi anni a Sarnano e il 27 novembre 1953 muore a Castellina Marittima.

Renzetti, ex ufficiale di carriera, primo "missus dominicus" di Mussolini in Germania, era stato incaricato di portare i fondi, concessi dal Duce, ai nazisti quando essi non erano ancora al potere e avevano bisogno di denaro. Il nostro Console Generale era un uomo molto intelligente e moderato e aveva anche il grande pregio di parlare chiaro e fornire oneste informazioni.

Per quanto riguarda la continuazione della guerra, ancora una volta avevano avuto ragione i marinai tedeschi che conoscevano il mondo esterno e quindi sapevano dove bisognava colpire per definire il conflitto, mentre per i capi militari di terra l'ossessione era di occupare la maggiore estensione possibile di territorio, cosa che, se procurava alcuni rifornimenti di materie prime, indeboliva anche gli schieramenti che diventavano troppo estesi.
Anche nella prima guerra mondiale, dopo la battaglia d'arresto di Verdun, l'Ammiraglio von Tirpitz aveva tentato di ottenere dal Kaiser l'autorizzazione ad attaccare in forze la flotta britannica, ma non era stato ascoltato e la guerra era stata perduta.
Per la sua iniziativa Raeder fu condannato a 25 anni di galere a Norimberga e sì che era solo un soldato, non un criminale di guerra. Gli inglesi gli fecero pagare la loro paura retrospettiva! E dire che molti, da noi, ammirano ancora la giustizia anglosassone!

La nostra guerra in Mediterraneo e in Africa continuava in modo assolutamente insoddisfacente con alti e bassi che ne facevano prevedere una lunga durata e una fine disastrosa. Malta continuava ad essere la spina nel fianco che ci avrebbe fatto perdere più della metà della nostra flotta mercantile e militare. Pagavamo cara la sua non neutralizzazione all'inizio delle ostilità. Sentivamo soprattutto la mancanza di portaerei — che Balbo non aveva voluto temendo che gli sfuggisse il controllo dell'aviazione imboscata — e del radar. E pensare che la scoperta delle onde elettromagnetiche riflesse su cui si basava il radar era stata fatta alla fine degli anni '20 da un nostro ufficiale di marina che le autorità navali non presero sul serio, tanto che gli permisero di vendere il suo brevetto alla... Gran Bretagna! Si sentiva anche la deficienza di nafta, di moderni aerei da ricognizione e da scorta.
In Etiopia, dopo un brillante inizio con l'occupazione delle Somalie britannica e francese, di fronte all'invio di ingenti rinforzi nemici ci si dovette chiudere sulla difensiva. Ci fu solo una eroica resistenza con armi e mezzi preistorici e insufficienti, senza benzina, senza medicinali per curare i feriti e con scarsità di munizioni.
Finite le munizioni e i rifornimenti, l'Impero cadde e il Viceré Duca d'Aosta mori in prigionia per una grave malattia mal curata dai medici inglesi. Queste cose Mussolini e Badoglio avrebbero potuto immaginarle prima di dichiarare la guerra!
Si deve notare, in questa lotta coloniale, la fedeltà e l'eroismo delle truppe di colore anche etiopiche; solo i libici scappavano come lepri!
In questo periodo accadde un altro episodio doloroso. Un nostro sommergibile, affondato nel Mar Rosso con la morte di tutto l'equipaggio, era tornato stranamente a galla, permettendo agli inglesi di recuperare il cifrario con il quale dettero per qualche tempo falsi appuntamenti e prepararono agguati ad altri nostri sommergibili, affondandone parecchi.
Un altro problema per la Marina fu costituito dall'invio di alcuni sommergibili di forte tonnellaggio nell'Atlantico. Lo stretto di Gibilterra non poteva essere attraversato nemmeno di notte a quota periscopica per la presenza di numerose navi pattuglia in quelle acque munite di radar. La traversata dello stretto, fatta alla cieca, si rivelò molto pericolosa perché la Marina non aveva provveduto in tempo di pace a fare esperimenti o addestramenti in proposito. Chi pensava mai di fare la guerra alla Gran Bretagna dotata allora della più forte marina mondiale?
Un grosso inconveniente che avevano i nostri sottomarini era la scarsa velocità di immersione e di navigazione subacquea. Questo guaio provocò la perdita di molti sommergibili e l'Ammiraglio Doenitz se ne accorse subito non appena essi arrivarono alla base atlantica di Bordeaux: avevano oltretutto delle sovrastrutture troppo grandi che ne diminuivano la penetrazione e quindi la velocità nell'acqua.
Altro errore di costruzione, che provocò gravi perdite, fu quello degli incrociatori della classe Pola, Trieste, Fiume, Trento, che erano veloci ma pochissimo corazzati anche nelle parti vitali. Bastava un colpo di piccolo calibro ben centrato per fermarli... ma il difetto più grave fu quello della mancanza di portaerei e di radar e pertanto di una aviazione efficiente per la scorta.
Pareva che Mussolini e Hitler facessero a gara con le loro iniziative per perdere la guerra. Avevamo poche forze efficienti per un solo fronte ed ecco che continuavamo a disperderle! Così il Duce mandò una nostra unità aerea in Belgio per bombardare l'Inghilterra. Fece poco danno e perdemmo molti aerei, perché non erano attrezzati sufficientemente per atterrare e volare nella nebbia persistente da quelle parti. Finalmente si capì che si doveva neutralizzare Malta che fu sottoposta a forti bombardamenti anche da parte di un corpo aereo tedesco stanziato in Sicilia. I risultati effettivi furono scarsi, perché colpivano delle case e non danneggiavano le fortificazioni che erano tutte nelle gallerie delle montagne. L'effetto più importante fu quello di isolare Malta che non poteva essere rifornita da convogli di navi. Ma sul più bello, quando l'isola era ormai agli estremi, i bombardamenti furono sospesi!
In mancanza di grandi successi bellici vi fu un fiorire di atti di eroismo e di magnifico comportamento soprattutto tra i reparti di bersaglieri ed alpini. La Milizia fascista non combinò nulla di buono, mentre eroica fu la resistenza del battaglione giovani fascisti in Libia: erano tutti giovanissimi volontari sui 18 anni. Meritevoli di grande elogio gli equipaggi dei sommergibili e dei mezzi d'assalto della Marina nelle audacissime incursioni nelle rade di Malta, di Gibilterra e di Alessandria contro grosse navi inglesi.
Di encomiabile valore le azioni dei nostri aerosiluranti che pure disponevano di un mezzo assolutamente inadeguato, il bombardiere "S 79", la "bonne à tout faire".

Un giorno, nei primi tempi della guerra, venne a trovarmi al Ministero degli Esteri l'amico Conte Giovanni Bonmartini che era stato richiamato come Maggiore dell'Aeronautica. Egli era uno sportivo e un tecnico di valore, oltre che corridore automobilista e pilota di aerei. Aveva costruito, a sue spese insieme al Principe Lancelotti, l'aeroporto del Littorio, oggi dell'Urbe, e aveva cooperato alla costruzione della motocicletta carenata "Rondine", detentrice del record mondiale di velocità alla guida del corridore Taruffi.
Bonmartini, o Ninetto come lo chiamavano tutti, mentre mi spiegava come le cose andassero male, aggiunse: e pensare che se avessimo duecento aerosiluranti moderni potremmo fare fuori la flotta inglese!". Aggiunse che l'aereo adatto esisteva ed era il "Re.2000" delle Officine Reggiane, un aereo i cui piani erano dell'Ing. Bellanca, siciliano che aveva avuto molto successo in America. Tale aereo era in grado di trasportare un siluro a notevoli distanze e dopo averlo sganciato tornava ad essere un caccia moderno e veloce, capace quindi di difendersi vantaggiosamente dai caccia delle portaerei britanniche e anche di evitare il fuoco antiaereo, date le sue doti acrobatiche e i suoi 600 Km all'ora. Qualora comunque fosse stato colpito si sarebbe perduto solo un uomo e non sette e un apparecchio monomotore.
Una tattica del genere fu in effetti impiegata in seguito dai Giapponesi che usarono, con grande successo, i loro famosi caccia "Zero" come aerosiluranti. Bonmartini disse anche: "Bisognerebbe far sapere questo in alto loco, ma io non posso chiedere di parlare con Mussolini, non mi riceverebbe. Io allora gli risposi: "Perché non vai dal Re?". Cosi egli fece. Il Re, che lo conosceva, lo ricevette subito e fu interessato alla cosa; gli disse che ne avrebbe parlato al "Presidente", così egli chiamava Mussolini, ed effettivamente gliene parlò. Quest'ultimo, a sua volta, ne parlò al Capo di Stato Maggiore dell'Aviazione che mise Ninetto agli arresti per non aver seguito la via gerarchica e i "Re.2000" non entrarono mai in squadriglia!! La scusa che le Officine Reggiane non avevano possibilità di costruire in grandi serie è fasulla, perché bastava imporre a tutte le Officine aeronautiche, Fiat compresa, di costruire l'unico tipo d'aereo valido, così come fecero gli inglesi con i loro "Spitfires".


Guerra alla Grecia

Mussolini, ostinato nella sua strategia di voler aprire un nuovo fronte quando non riusciva a sfondare su quello precedente, disperdendo così le poche forze e i mezzi disponibili ed aggravando enormemente la situazione generale, pensò di invadere la Grecia. Desiderava un successo da contrapporre a quelli grandi dei tedeschi di cui era geloso. Li detestava anche perché operavano le loro mosse senza mai consultarlo previamente: voleva restituire loro la pariglia!

 

De Vecchi

Già mesi prima un altro pazzo, il quadrumviro della Marcia su Roma, De Vecchi di Val Cismon, Governatore di Rodi e del Dodecanneso, aveva fatto silurare all'improvviso, senza nessuna ragione e quando si era in piena pace con la Grecia, il vecchissimo incrociatore ellenico "Elli", creando un pandemonio di proteste in tutto il mondo. De Vecchi faceva finta di nulla, ma ad accusarlo c'erano addirittura le targhe di fabbricazione dei siluri con scritto "Silurificio Whitehead - Fiume anno..."!
Non è che la Grecia fosse pienamente innocente, non rispettava infatti molto le regole della neutralità. Essa dava ricetto e rifornimenti alle navi inglesi che avevano preso l'abitudine di sostare nei porti greci per molto più tempo di quello consentito dalle norme internazionali sulla neutralità. Questa però non era una ragione sufficiente per farle la guerra.
Un altro sprovveduto "yes man", l'Ambasciatore Jacomoni, già nostro
rappresentante diplomatico a Tirana e poi Luogotenente Generale del Regno d'Albania, dopo l'annessione aveva dichiarato che l'occupazione della Grecia sarebbe stata una passeggiata militare anche perché i suoi albanesi avrebbero dimostrato tutte le loro capacità tecniche come ai tempi di... Scanderbeg! Egli inoltre assicurava di aver prezzolato alcuni generali greci che non avrebbero opposto resistenza, non volendo più saperne della dittatura del Gen. Metaxas, che oltre tutto era... un ammiratore del fascismo!
Non si sa dove finirono quei quattrini, ma anche se i generali ellenici li avevano accettati, certo è che fecero poi, da buoni greci, il loro dovere.
Il Conte Ciano, che era stato sempre contrario alla guerra in generale, ebbe invece il grave torto di spingere in tutti i modi l'aggressione alla Grecia, interferendo anche indebitamente nelle questioni militari e nella nomina dei generali comandanti in Capo suggerendo e presentandone a Mussolini diversi... uno peggiore dell'altro! Continuava a dire a tutti stolidamente "questa è la mia guerra". Partì di nuovo per la zona-operazioni, raggiungendo la sua squadriglia da bombardamento: voleva forse rifarsi una verginità con Mussolini che da tempo aveva cominciato a dubitare di lui. La politica estera quindi era lasciata in "panne" in uno dei momenti più delicati e Mussolini assunse l'interim degli Esteri. In pratica chi faceva tutto era il troppo filotedesco Anfuso.
A comandare il Corpo di spedizione fu nominato un altro generale badogliano, politicante da tavolino, che però passava per uomo di alta cultura

 professionale perché da Addetto militare a Parigi aveva scritto un libro... sulla guerra di S. Giovanna d'Arco!


Evidentemente, di fronte alla profonda ignoranza di Badoglio, Visconti Prasca poteva passare per un grand'uomo!

Gen. Sebastiano Visconti Prasca 

Vero è, tuttavia, che valeva ancora il detto del vecchio esercito piemontese secondo il quale per entrare nella Scuola di Guerra e per fare carriera nello Stato Maggiore bisognava essere in possesso di tre B e cioè essere belli, biondi e bestie! Al tempo di Badoglio le tre B vigevano ancora, con la differenza che si poteva essere anche brutti e bruni ma bestie sempre!
Il nostro stratega, amico di Ciano, disse che gli sarebbero bastate tre Divisioni, tra quelle nostre divisioncelle leggere, cioè con soli due reggimenti di fanteria e uno di artiglieria, per sbaragliare l'esercito greco. Invece quello era stato bene addestrato e armato dagli inglesi soprattutto con moltissimi mortai da trincea adattissimi per gli impervi terreni greci col loro tiro curvo, mentre noi sbagliammo anche la scelta dell'artiglieria inviando i normali reggimenti con una prevalenza di pezzi a tiro teso che in montagna servono a poco o nulla.
Si ebbe subito la sensazione che si andava incontro a un disastro. I reparti albanesi, tanto apprezzati da Jacomoni, scapparono disertando e aprendo brecce fra le nostre truppe le quali rimanevano con i mezzi pesanti impantanati nel fango delle valli dell'Epiro, dove non esisteva alcuna strada. La resistenza delle truppe greche trincerate in posizioni dominanti era accanita, facilitata dal terreno e appoggiata validamente dall'aviazione britannica.
Si cominciava così a mandare rinforzi per via aerea, armati di modello 91, con le poche cartucce che si potevano portare nelle giberne e con qualche mitragliatrice.
I
soldati poi erano stati mandati con i pantaloni estivi di tela perché in
Grecia doveva fare caldo! L'autunno sulle nude montagne dell'Epiro è molto freddo e piovoso dato che i venti gelidi, come tutti sanno, vi arrivano senza ostacoli dal nord-est e che quei monti non hanno nemmeno boschi ove tagliare legna per scaldarsi. Risultato: moltissimi soldati ebbero gli arti congelati anche perché le scarpe in dotazione fornite da qualche scarparo di Vigevano, avevano parti addirittura di cartone. Uno di questi industriali milanesi invece di essere fucilato quale traditore e sabotatore, come sarebbe avvenuto in ogni Paese ordinato, ebbe dopo la guerra grandi e lucrosi incarichi perché sedicentemente aveva fatto il partigiano nascosto forse in qualche cantina! Molti soldati ebbero cancrene da congelamento e numerosissimi quindi furono gli amputati e i mutilati.
Eroico fu il comportamento della
Divisione Julia degli Alpini, praticamente sacrificata resistendo ad oltranza alla controffensiva greca onde permettere l'arretramento del nostro schieramento.
Hitler, preoccupato, mandò un suo generale a vedere cosa accadeva in Albania. Il generale di ritorno dalla sua ispezione fu invitato a pranzo al Circolo delle Forze Armate a Palazzo Barberini dal Ministro conte Piero Cittadini allora Capo del Cerimoniale, che parlava perfettamente il tedesco e anche molti dialetti germanici, con l'incarico di farlo cantare. Cittadini fece ben mangiare e ancor meglio bere... in vino veritas, l'alto ufficiale della Wehrmacht che, interrogato abilmente, se ne uscì con la seguente diagnosi tacitiana, confermando ciò che d'altronde già sapevamo: "II soldato tedesco è il migliore del mondo, ma se avesse dovuto combattere in quelle condizioni ci avrebbe abbandonato, il vostro invece ha resistito in condizioni impossibili, male armato e quasi senza mangiare. I vostri ufficiali inferiori e di grado medio sono ottimi fino al grado di colonnelli, la maggioranza dei generali prescelti da Badoglio invece m... (parola di Cambronne)!"
Si sa bene quello che seguì.
Hitler decise di occupare Jugoslavia e Grecia, non tanto per venire incontro a noi, come è stato detto da molti erroneamente, in quanto la fase peggiore della nostra operazione in Grecia era superata, ma per proteggersi il fianco durante l'esecuzione della prossima pazza mossa che doveva fargli perdere la guerra e cioè l'invasione dell'Unione Sovietica. Egli infatti temeva uno sbarco britannico nei Balcani mentre le sue forze erano impegnate all'Est. Questa cosa sembrava logica se il Comando inglese, ormai fornito dall'America di abbondanti mezzi, avesse avuto maggiore audacia, date anche le connivenze che il Governo di Londra aveva a Belgrado oltre che ad Atene.
Dopo l'ultimatum respinto dalla Jugoslavia, ove un colpo di Stato aveva rovesciato il governo del Reggente che cercava di barcamenarsi con le pretese dell' "Asse", Belgrado fu bombardata e la Jugoslavia invasa da nord e da est dai tedeschi e da ovest da noi. L'esercito iugoslavo, come era avvenuto con quello francese, pur essendo bene armato non oppose quasi alcuna resistenza.
Mentre le colonne moto-corazzate tedesche dilagavano velocemente, le nostre truppe, come sempre a piedi, cercavano di affrettarsi per occupare una zona abbastanza grande e tenere quindi i tedeschi il più lontano possibile. In questa occasione, al seguito di Ciano, che era andato a Trieste e voleva assolutamente occupare Lubiana prima dei tedeschi, mi trovai coinvolto in una di quelle sue iniziative impulsive e alquanto spericolate.
Partimmo dalla frontiera assolutamente disarmati: Ciano in uniforme di ufficiale dell'Aviazione e noi in quello degli Esteri, con le nostre solite uniformi da "marina svizzera" e risalimmo i contingenti delle nostre truppe che a marce forzate — sempre a piedi perché la benzina difettava già da tempo — si inoltravano in Jugoslavia. Mi ricordo così che attraversammo le linee fortificate iugoslave, costituite da notevoli bunkers tra i monti, già del tutto abbandonate e risalimmo il mio reggimento, il I Granatieri che — a passo di strada — si dirigeva verso la capitale della Slovenia. È da notare che alcuni di questi reggimenti, sempre a piedi, arrivarono fino ad Atene! Il fratello di mio genero, tenente dell'Artiglieria alpina, attraverso la Dalmazia e la Serbia arrivò fino al Mar Egeo consumando ben tre paia di scarponi!
Noi con Ciano superate le nostre truppe ci trovammo nel mezzo di quattro file di soldati iugoslavi che, molto ordinatamente, ognuno con la sua arma, si ritiravano verso l'interno: se avessero voluto accopparci lo avrebbero potuto fare cento volte! Confesso che ero parecchio preoccupato, perché finire in quel modo senza avere alcuna possibilità di difendersi sarebbe stato proprio stupido. Comunque arrivammo sani e salvi a Lubiana dove erano già arrivate alcune pattuglie e vari ufficiali italiani e ci installammo nella Prefettura. Lì venne a parlare con Ciano il Vescovo il quale gli disse chiaramente che, pur nella dolorosa disgrazia della sua patria, ringraziava Iddio che fossero arrivati a Lubiana gli italiani piuttosto che i tedeschi, i quali infatti altrove avevano già cominciato le solite deportazioni e fatte altre atrocità e chiese a Ciano la garanzia che la città e la Slovenia da noi occupata non sarebbe stata ceduta ai tedeschi. Egli si ricordò infatti che la dominazione di Venezia nei secoli precedenti in Italia e in Dalmazia era stata molto civile e tollerante.
Si commise anche qui un grave errore e fu quello di non disarmare i soldati iugoslavi che si ritiravano e che smobilitati si portarono a casa ognuno il proprio armamento individuale. Furono queste le armi che alimentarono in un primo tempo la guerriglia e le stragi fra serbi e croati e servirono ad equipaggiare le prime bande partigiane contro di noi.
La Jugoslavia, soprattutto la Slovenia e la Croazia, era un Paese, dal punto di vista agricolo, molto ricco e noi che già da tempo in Italia stringevamo la cinghia, acquistammo una quantità di prosciutti, di formaggi e di salami, pagando tutto regolarmente con valuta italiana che allora era ancora molto richiesta da quelle parti. I tedeschi invece saccheggiavano tutto, dando in cambio buoni di occupazione che non valevano assolutamente nulla.

Alla fine della campagna di Grecia i tedeschi eseguirono uno sbarco dall'aria a Creta ove si erano asserragliate unità inglesi. Fu una manovra audace e brillante ma che costò molto sangue ai paracadutisti non tanto per la reazione degli anglo-greci quanto per la natura impervia e rocciosa dell'isola e per il vento che ostacolò l'azione. Noi contribuimmo alla conquista con un arrischiato sbarco dal mare da parte di truppe di terra inviate da Rodi e da Scarpanto, imbarcate su natanti di tutti i generi, scortati da una sola vecchia torpediniera al comando del Capitano di Corvetta Cigala Fulgosi. Lo sbarco non finì in un disastro solo per l'audacia e il valore di questo ufficiale. Infatti il convoglio incontrò una forte divisione navale britannica. Cigala avanzò contro la formazione nemica a tutta la velocità consentita dalle vecchie macchine, emettendo grande quantità di fumo per coprire il convoglio e zigzagando si avvicinò fino a breve distanza da uno degli incrociatori — sembra della classe York — contro il quale lanciò tutti i siluri disponibili. L'incrociatore colpito in pieno affondò in pochi minuti corpi e beni. Cosa stranissima la nostra unità ebbe a bordo solo qualche ferito e pochi danni.
La formazione britannica si ritirò, forse ritenendo che dietro la torpediniera italiana ci fosse una forte formazione navale. Gli inglesi non riconobbero mai la perdita del loro incrociatore: sarebbe stato per loro penoso dare conto di un così poco onorevole comportamento della Royal Navy!

1941 La HMS Valiant era una corazzata Britannica della Classe Queen Elizabeth, gemella della HMS Barham e della HMS Queen Elizabeth.
Fu costruita a Gowan nei cantieri Fairfield Shipbuilding & Engineering Co. nel corso del 1913, e varata  nel 1914.
Nel corso della I Guerra Mondiale la HMS Valiant servì nella Grand Fleet, e prese parte alla Battaglia dello Jutland.
Tra le due Guerre fu rimodernata due volte.

All'inizio della II Guerra Mondiale, la HMS Valiant servì nella Home Fleet, quindi nel 1941 fu trasferita in Mediterraneo, destinata alla base di Alessandria d'Egitto.
Nel Marzo 1941 prese parte alla Battaglia di Capo Matapan; nel Maggio 1941 fu danneggiata da bombe al largo di Creta.

Il 18 Dicembre 1941, la HMS Valiant fu attaccata e gravemente danneggiata nella sua base di Alessandria d'Egitto da assaltatori subacquei Italiani.
Due attacchi erano già stati portati dai sommergibili Italiani
Iride
(22 Agosto 1940) e Gondar (29 Settembre 1940), ma entrambi erano falliti.

Nella notte del 17 Dicembre, il sommergibile Italiano Scirè si avvicinò al porto di Alessandria e mise in acqua tre Siluri a lenta corsa, i famosi "maiali" ed i loro equipaggi (L. Durand De la Penne, A. Marceglia, V. Martellotta, E. Bianchi, S. Schergat, M. Marino).

I "maiali" Italiani elusero le sentinelle e superarono le barriere anti-sommergibili, quindi si diressero verso i loro obiettivi: le corazzate HMS Valiant e HMS Queen Elizabeth, e la petroliera Sagone (il bersaglio originale avrebbe dovuto essere la portaerei HMS Eagle, ma quest'ultima non si trovava nel porto di Alessandria).
I sommozzatori Italiani lasciarono le cariche esplosive sul fondo, vicino alle navi nemiche: quindi emersero, e furono catturati dai marinai Britannici.

Il Comandante Italiano, Tenente di Vascello Luigi Durand de la Penne (a sinistra), rifiutò di rivelare dove gli incursori avevano piazzato le cariche: le esplosioni affondarono le corazzate e danneggiarono gravemente la Sagone ed il cacciatorpediniere HMS Jarvis, che si stava rifornendo dalla petroliera.

La HMS Valiant fu sollevata dal fondo, fu portata nei cantieri di Alessandria e sottoposta a lavori di riparazione che durarono sedici mesi. 
Quindi, partecipò alle operazioni dello sbarco Alleato in Sicilia (Luglio 1943) e bombardò le Forze Tedesche a Salerno nel Settembre 1943. Nello stesso mese scortò la Flotta Italiana a Malta dopo l'Armistizio. La veneranda HMS Valiant fu venduta per la demolizione nel 1948.

http://www.sportesport.it/wrecksEG014.htm

Magnifica era stata anche l'azione dei mezzi d'assalto del Tenente di Vascello Durand de la Penne nella rada di Alessandria che fece perdere alla Marina britannica due corazzate. Non si potè avere tuttavia immediata notizia del successo perché i nostri equipaggi erano caduti prigionieri. Infatti il sommergibile "Scire", al comando di Valerio Borghese che li aveva portati nella baia di Alessandria, li aveva attesi per oltre 24 ore e poi, secondo gli ordini, era rientrato. Le due corazzate poi si erano appoggiate sul fondo della rada, molto poco profonda, e gli inglesi erano riusciti ad impedire che si rovesciassero. I nostri aerei della ricognizione marittima, pertanto, essendo costretti a volare altissimi per non essere immediatamente abbattuti dalla contraerea e dai caccia nemici, data la scarsa velocità e il debole armamento dei vecchi Cant Z 501 e 506, poterono fornire delle fotografie poco dimostrative: le navi già colpite erano dritte e quindi sembravano intatte.
Fummo informati del successo dell'azione... dai giapponesi che, ovviamente, avevano informatori ovunque, anche nella base di Alessandria! E i giapponesi si domandavano perché ormai non tentassimo lo sbarco ad Alessandria dal mare, data la temporanea inferiorità della flotta inglese nel Mediterraneo. Infatti quasi contemporaneamente la maggiore portaerei inglese la "Ark Royal" era stata affondata nel Mediterraneo occidentale da un piccolo sommergibile tedesco comandato da un Tenente di Vascello. Questo episodio fu veramente drammatico perché, mentre il sommergibile, che era in agguato di convogli a sud delle Baleari, venne a quota periscopica per verificare un dubbio relativo al rumore di eliche, si trovò proprio in mezzo a una grande formazione inglese di scorta a un grosso convoglio. Il comandante manovrò per avvicinarsi il più possibile contro l'obiettivo più ambito: la portaerei, contro la quale lanciò tutti i siluri disponibili che fecero centro, causando l'immediato affondamento della nave che si spezzò in due. Il piccolo sommergibile, però, alleggerendosi di colpo del peso dei siluri, venne a galla come una palla di gomma nel bel mezzo della formazione nemica. Questa, comunque, non potè reagire con fuoco di artiglieria e tanto meno con bombe di profondità per non colpire né le proprie navi che si trovavano intorno, né i naufraghi della portaerei che erano in acqua. Il sommergibile potè così svignarsela e rientrare a La Spezia dove il Comandante fu decorato della nostra medaglia d'oro e della croce di guerra con brillanti decretatagli dal Fùhrer. Purtroppo, tuttavia, in una successiva missione nel Mediterraneo il sommergibile e il suo valoroso equipaggio scomparvero per sempre!
Pare che ci sia stata una riunione di Ammiragli presieduta da Mussolini per esaminare la possibilità di sfruttare i successi descritti, ma ogni idea di eventuali sbarchi in Egitto dovette essere abbandonata.
I
nostri successi erano per lo più solo individuali o di piccoli reparti di eroici combattenti, sia in mare che in terra e nel cielo. Le battaglie importanti invece andavano tutte male per noi, purtroppo. La nostra flotta, quando usciva in mare, era come se avesse gli occhi bendati, perché non disponeva del radar che invece avevano gli inglesi. Quanto sarebbe stato meglio avere due corazzate di meno, che tanto non servivano a niente, o dieci sommergibili di meno e disporre invece del radar e di un paio di portaerei! Ma le corazzate servivano alla propaganda del regime mentre gli strumenti di efficienza non servivano!
La inesistenza di portaerei — colpa, come si è detto, di Balbo che non le aveva volute perché temeva che gli sfuggisse il dominio su parte delle forze aeree — toglieva alla flotta la copertura e la scorta aerea e la accecava ancora di più. L'aviazione terrestre non aveva poi né sufficiente autonomia per volare lontano sul mare, né sufficiente addestramento per cooperare con la Marina. Per di più difettava la nafta e la benzina che dovevano arrivare in treno... dalla Germania la quale ce le forniva con il contagocce!
Molto spesso si doveva rinunciare a fare uscire le navi e gli aerei per risparmiare le sparute scorte di carburante. Come si poteva fare la guerra in questo modo?
L'Aviazione, comunque, era quella che si trovava nelle peggiori condizioni. Anche le sue radiocomunicazioni, il suo armamento in bombe e siluri, erano superati o male studiati per cui i bombardamenti, specie sulle navi nemiche, erano poco efficaci.
Come aveva avuto ragione mio Padre — che se ne intendeva — quando aveva detto dell'aviazione di Balbo che era fatta solo per i raids sportivi e la propaganda. Per questo era stato tenuto d'occhio dall'OVRA su ordine del triumviro il quale tra l'altro perdette la vita su Tobruk solo per la sua strafottenza: infatti rientrando all'imbrunire da una ricognizione sull'Egitto con il suo S 79 non dette il prescritto segnale di riconoscimento e l'incrociatore antiaereo S. Giorgio, ancorato nella rada di Tobruk, lo abbattè con le sue artiglierie ritenendolo nemico.

Altri grossi guai, forse i maggiori, ci furono procurati dagli alleati tedeschi per la loro mania di chiacchierare troppo per radio con l'Oberkommando del Fùhrer che voleva sapere tutto nei minimi particolari. I tedeschi si fidavano ciecamente della ermeticità della loro grande invenzione, la macchina cifrante e decifrante "Ultra-Enigma", che adoperavano con troppa frequenza e per messaggi troppo lunghi e verbosi.
Era invece accaduto che i Polacchi, nei primi giorni del conflitto, si erano impadroniti di un esemplare di questa macchina appartenente a un Comando tedesco di frontiera. I Polacchi avevano mandato, per via aerea, la macchina a Londra, via Svezia, e gli inglesi con la loro proverbiale tenacia e pazienza, aiutati anche dai primi esemplari di "computer", dopo mesi e mesi di prove e di studi erano riusciti a scoprire il metodo di cifratura della macchina. In tale modo, intercettando i messaggi-radio tedeschi, potevano conoscere in anticipo molte mosse dell'avversario, compresi i movimenti delle nostre navi che i tedeschi inutilmente comunicavano all'O.K.W.
La possibilità di decifrare i messaggi — da parte del nemico — fu per i tedeschi, e anche per noi, un altra causa della sconfitta.
Si è tanto decantata la bravura dell' "Intelligence Service" inglese: in verità detto servizio informazioni non era né migliore né peggiore di tanti altri. I suoi successi erano piuttosto dovuti al fatto che nei Paesi occupati o attaccati da noi e dai tedeschi moltissimi lavoravano per gli alleati occidentali.
Anche in Germania e in Italia molti antifascisti simpatizzavano per gli inglesi e per questo tradivano il loro Paese, perché si trattava, di fatto, di vero e proprio tradimento. Infatti non basta dire che essi operavano per odio al Fascismo e al Nazismo; quando si è in guerra e con certe azioni si provoca la morte di propri soldati innocenti che fanno solo il loro dovere si è dei Giuda e la ..."resistenza" in questo non ha niente a che vedere.

Si diceva a Roma che anche una bellissima nobildonna napoletana, ben nota per le sue avventure, fosse pure una informatrice del nemico, tanto che un ufficiale di Marina, suo amico, si sarebbe suicidato perché, per leggerezza, le aveva comunicato delle notizie. La stessa signora, durante il conflitto etiopico, era stata l'amica di un Maggiore dell'I. S. che fungeva da Vice Console inglese a Napoli. Si tratta della stessa gente che oggi "radicai chic" è già pronta a tradire il proprio Paese con i comunisti e con i russi.
A Roma si diceva anche che uno dei diplomatici inglesi presso la Santa Sede, chiuso in Vaticano, travestito da prete, facesse finta di confessare in S. Pietro durante le funzioni e invece ricevesse e ascoltasse i suoi informatori!
Anche vari diplomatici neutrali spiavano per gli alleati tradendo lo Statuto di neutralità che tanto decantavano. Tra di essi l'Ambasciatore di Turchia e l'Addetto Militare svizzero; a quest'ultimo i tedeschi, che andavano per le spicce, provocarono un incidente d'auto mortale. Si parlava anche del Ministro della Svizzera, perché si aggirava spesso vicino alle caserme abboccandosi con i soldati: si trattava invece solamente di un ... gay! Comunque gli fu ritirato il gradimento.
A tutti questi guai si aggiungeva il più grave di tutti, cioè quello della nostra disgraziata posizione geografica chiusa nel Mediterraneo, per cui si era sorvegliati dall'occhio di Malta non accecato per tempo all'inizio delle ostilità, oltre alla dabbenaggine del Comando della Marina che faceva partire i convogli per la Libia dal porto di Napoli. Tutti sanno che Napoli è un grande anfiteatro dal quale si possono vedere tutti i movimenti della rada. Era quindi immensamente facilitato il compito delle spie che potevano comodamente segnalare tutte le partenze e gli arrivi dei nostri convogli!

Intanto la guerra nel deserto libico-egiziano, pur con alterni alti e bassi, andava sempre peggio per noi e per i tedeschi sopravvenuti. Mentre il nostro materiale distrutto o logorato non poteva essere sostituito perché non ne avevamo, — eravamo andati avanti per qualche tempo con i carri francesi Renault preda bellica, abbastanza vecchiotti ma almeno più pesanti dei nostri — gli inglesi ricevevano un flusso continuo di materiale nuovo e più moderno, fornito dagli americani con convogli che potevano fare, indisturbati, il periplo dell'Africa.
I
Generali inglesi non erano davvero dei fulmini di guerra, soprattutto Montgomery, erano però prudentissimi sapendo che il tempo lavorava in loro favore e a nostro danno e non accettavano mai il combattimento se non avevano forze corazzate e aerei almeno tre o quattro volte superiori ai nostri.


Guerra all'Unione Sovietica

Hitler, sempre più scalmanato e paranoico, intanto aveva preparato l'invasione dell'U.R.S.S. che tuttavia era pur l'unica fonte di rifornimenti di petrolio e di altre materie prime!

Generale von Brauchitsch

Lo Stato Maggiore tedesco era sempre stato contrario, e giustamente, alla guerra sui due fronti Est ed Ovest, memore dei guai della prima guerra mondiale.
I
generali Von Blomberg e Von Brauchitsch, veri organizzatori della Wehrmacht, erano stati silurati da Hitler perché contrari alla guerra in genere, in quanto prevedevano che sarebbe finita in una trappola per la Germania presa tra due fuochi.
Nonostante tutto il Fùhrer desiderava abbattere il comunismo e acquistare per la Germania un immenso territorio ricco delle materie prime che le mancavano. Noi, come al solito, con una ulteriore violazione del Patto d'acciaio non fummo consultati e Ciano ebbe sentore dell'aggressione alla Russia solo a Venezia il 15 giugno 1941 nell'incontro che vi ebbe con Ribbentrop che aveva tentato, senza riuscirci, di ottenere dai Giapponesi un patto di assistenza militare. Allora Ribbentrop disse che in otto settimane l'URSS poteva essere cancellata dalla carta geografica.                                                                                                                  


Come si sa le operazioni nei primi mesi andarono benissimo e Hitler si gonfiava sempre di più. Anche Mussolini, che non l'aveva spuntata su nessun fronte, volle partecipare alla impresa e aprirne un altro condannando oltre centomila uomini alla distruzione.
Il nostro Corpo di spedizione era come al solito armato malissimo e equipaggiato anche peggio, soprattutto per il clima della Russia, oltre che male comandato, eccetto che nel periodo del Gen. Messe alla cui opera però si ricorreva solo in situazioni disperate non provenendo egli dallo Stato Maggiore. Le nostre armi si inceppavano durante l'inverno e l'Addetto commerciale a Bucarest fu incaricato di acquistare a qualunque prezzo tutte le pelli di montone che si trovavano in Romania per farne cappotti per le nostre truppe.
I
tedeschi erano entrati in profondità in Russia per l'imprevidenza di Stalin che non aveva voluto credere all'allarme lanciato dai suoi informatori e anche perché aveva distrutto la testa dell'esercito sovietico con l'eliminazione di Generali a causa delle false informazioni propinategli a suo tempo da Hitler e di cui era stato vittima anche il Maresciallo Tuchacewskij.
Inoltre i soldati dell'armata rossa non si battevano bene — non avevano voglia di sacrificarsi per il regime di Stalin — e si davano facilmente prigionieri. I tedeschi annunciarono di averne presi quattro milioni. Sennonché con la loro solita bestiale e ottusa ferocia i nazisti condannarono questi prigionieri e le popolazioni delle zone occupate a morire di fame e di stenti. La cosa addirittura paradossale fu che se non fosse stato per la stupida crudeltà di Hitler e dei suoi, la guerra tanto pazzescamente iniziata avrebbe potuto essere vinta! Ma sarebbe stato necessario che gli occupanti, ritenuti in un primo momento quasi dei liberatori, fossero più generosi e avessero permesso che si costituisse un governo bianco libero per amministrare i territori occupati. Ma quando mai degli ottusi tedeschi possono comprendere una cosa simile? Col loro atteggiamento i nazisti furono... i migliori collaboratori di Stalin!
Infatti i soldati russi cominciarono a battersi eroicamente non solo per amor di Patria, ma per salvarsi. Il resto lo fece il "generale inverno" una stagione delle più gelide a memoria d'uomo che distrusse, facendole letteralmente scoppiare, decine di migliaia di locomotive, di autocarri, di carri armati e di aerei.
L'armata tedesca non si risollevò più da questa spaventosa distruzione dei propri mezzi, aggravata ancora dagli aiuti americani che arrivavano abbondantissimi ai sovietici per mare, — via Murmansk e Arcangelsk — e dagli errori del caporale Hitler, autopromossosi grande stratega e capo supremo dell'Esercito. Tra l'altro egli fece ritirare anche le truppe corazzate che erano arrivate sino nei sobborghi di Mosca, per destinarle al fronte del sud.


Pearl Harbor

Ma l'anno nefasto 1941 non doveva terminare senza un altro massimo errore che avrebbe fatto precipitare l'entrata in guerra degli U.S.A. (che noi diplomatici italiani avevamo sempre previsto). Il grave fatto che fece perdere definitivamente ogni pur tenue speranza di vittoria da parte dell'Asse fu l'attacco giapponese alla base navale di Pearl Harbor.
Persino Hitler riuscì a capire che era l'inizio della fine e si infuriò per l'inaspettata iniziativa giapponese. Egli sperava sempre che il Giappone si decidesse invece ad attaccare l'URSS. L'idiota Ministro Ribbentrop, invece, ne fu molto lieto! Nonostante l'attacco di sorpresa giapponese fosse molto ben studiato ed eseguito, le sue conseguenze non furono per nulla deleterie per gli alleati occidentali.
Roosevelt, contrariamente alla stragrande maggioranza dei suoi concittadini, voleva assolutamente entrare in guerra e poco democraticamente faceva di tutto per affrettare l'evento, non rispettando affatto le norme della neutralità e provocando in ogni modo le Potenze dell'Asse. Basti pensare al trattamento dei nostri connazionali e dei tedeschi in USA, all'internamento delle navi mercantili che si trovavano per caso nei porti americani, alle prepotenti imposizioni agli altri Stati delle Americhe perché facessero lo stesso.

Per quanto riguarda il Giappone poi Roosevelt fece ancora di peggio. Infatti egli fece trattare malissimo, e in modo del tutto contrario agli usi diplomatici, la delegazione nipponica, presieduta da due ammiragli e che si trovava a quel tempo negli Stati Uniti per trattative concernenti la Cina e contemporaneamente dichiarò embarghi sulle merci, specie sul petrolio, e intimò l'ultimatum.
C'è addirittura chi pensa — e tra questi uno dei figli dello stesso Presidente — che Roosevelt si aspettasse un attacco ad una delle basi avanzate americane, ma che diabolicamente non facesse nulla per prevenirlo. Pare non mettesse nemmeno in stato di allerta le basi più esposte, anzi sperava nell'attacco che sarebbe servito a scatenare l'indignazione e l'amor proprio dei suoi concittadini obbligandoli ad accettare la guerra che di fatto essi non desideravano.

Certo è che gli americani possedevano il cifrario della Marina giapponese, perduto da una nave militare nipponica che, truccata da peschereccio, faceva dei rilievi delle coste dell'Alaska e aveva fatto naufragio con la perdita di tutto l'equipaggio. Il cifrario sarebbe stato recuperato insieme ad altri resti da una baleniera norvegese e consegnato alla Capitaneria di porto di Seattle.

Loss of HMS Prince of Wales and HMS Repulse, 10 December 1941
Photograph taken from a Japanese plane, with Prince of Wales at far left and Repulse beyond her. A destroyer, either Express or Electra, is maneuvering in the foreground.
Dulin and Garzke's "Allied Battleships in World War II", page 199, states that this photograph was taken "after the first torpedo attack, during which the Prince of Wales sustained heavy torpedo damage." Photo #: 80-G-413520
Official U.S. Navy Photograph, now in the collections of the National Archives.
Reproductions of this image may also be available through the National Archives photographic reproduction system.
 
http://www.history.navy.mil/photos/images/g410000/g413520c.htm

Alle Hawaii erano in servizio i primi radar di produzione britannica che effettivamente avvistarono le successive ondate di aerei nipponici. L'ufficiale che comandava i radar, tuttavia, non diede l'allarme ritenendoli velivoli americani che rientravano da una esercitazione! Ciò dimostra che la base non era in stato di allarme. Tuttavia l'attacco colpì solo delle navi ormai di scarso valore bellico in quanto quelle più moderne, tra cui le portaerei, erano state allontanate. Anche questo prova che qualche sentore di un attacco la Marina americana doveva pur averlo avuto.
Il successo giapponese pertanto, ai fini del conflitto, fu piuttosto relativo. Maggiore importanza forse ebbe l'affondamento, da parte degli aerosiluranti giapponesi, delle due più moderne navi da battaglia inglesi, la corazzata Prince of Wales e l'incrociatore Repulse che accorrevano in Estremo Oriente dall'Europa per difendere quelle coste.
La conseguenza fu l'estromissione completa degli Inglesi da quella parte del mondo.

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Sequenza fotografica del bombardamento di Pearl Harbour

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Nonostante questi e altri successi, la situazione militare nel 1942 si andava facendo sempre più difficile. Il "generale inverno" aveva distrutto in Russia una metà del materiale bellico tedesco, le nostre forze, pur senza entusiasmo, facevano valorosamente il loro dovere, ma nonostante tutto non riuscivano a compensare l'assoluta mancanza di armamento ed equipaggiamento idoneo, nonché l'inefficienza dei comandi centrali.
Lo sbarco americano nel Nord Africa — da noi previsto perché scioccamente Hitler non aveva voluto occupare Marocco e Algeria — fece precipitare ancora di più la situazione e avvicinare l'epilogo. Le nostre truppe combatterono eroicamente in Tunisia, prese fra due fuochi, al comando del Maresciallo Messe, unico nostro generale all'altezza del suo compito, ma erano battaglie che servivano solo a ritardare di poco gli eventi.
Si vedeva purtroppo arrivare rapidamente la fine.
 

SEGUE: 
 

3) Contatti ufficiosi per negoziati di pace

 

4) Il dopo-guerra
 

PRECEDE:
 

1) La Carriera Diplomatica: L'Esordio


 

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