MARIENI SAREDO

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AMBASCIATORE ALESSANDRO MARIENI SAREDO

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1) LA CARRIERA DIPLOMATICA - L'ESORDIO

 

Nei seguenti capitoli sono riportati brani dal volume RICORDI DI UN DIPLOMATICO - Dal Fascio allo sfascio, edito nel 1992 dalla casa Editrice S. Marco di Trescore Balneario (BG).  Allo scopo di chiarire ed ampliare la conoscenza degli avvenimenti e dei personaggi citati sono stati aggiunti links a siti web e fotografie, molte provenienti dall'archivio personale.

 

 1) Gli esordi della carriera diplomatica (pag 38 a pag.83)

 

Entrai nella carriera diplomatica, come gli altri miei colleghi di allora, con il proposito di servire la Patria come un soldato: era d'altronde l'intenzione della maggior parte dei giovani di quel tempo che nutrivano ancora nel cuore un ideale. È quello, anche, che ci invitò a fare lo stesso Ministro degli Esteri Mussolini nel breve e semplice discorso che ci rivolse quando gli fummo presentati e giurammo nelle sue mani con la vecchia formula dei tempi di Carlo Alberto. A questo giuramento di fedeltà al Re quasi tutti tennero fede — alcuni in modo eroico — versando il loro sangue dopo l'8 settembre 1943.

Lo spirito e l'ambizione che ci muovevano erano quelli dei "grands commis" come si diceva in Francia una volta, dei veri servitori dello Stato.
Uno spirito e un'ambizione alquanto differenti da quello dei giovani funzionari di oggi che fin dalle prime ore di servizio non pensano che a sfruttare gli appoggi politici e i nepotismi per essere rapidamente promossi, senza alcun merito e senza alcuna profonda esperienza, ai gradi elevati, facendo di gomito e pestando i piedi agli altri senza alcun pudore. Per noi l'esempio da imitare era quello di Costantino Nigra, Segretario di Cavour e poi suo Ambasciatore presso Napoleone III.
Nel giugno del 1935 entrai così a Palazzo Chigi destinato provvisoriamente al "Cerimoniale". Per quanto non si trattasse di un posto particolarmente ambito, ne fui contento perché vi trovai delle persone simpaticissime e piene di spirito che lavoravano, ma sempre "in laetitia": l'Ambasciatore Carlo Senni e i segretari di Legazione Filippo Caffarelli, Giuliano Capranica del Grillo e Piero Cittadini.
Si lavorava molto perché eravamo solo quattro funzionari laddove ora ce ne sono decine, ma si lavorava in un ambiente sereno e da buoni amici, alternando al lavoro momenti di svago con ingenui scherzi e sonore risate. Mi trovai bene anche perché nessuno dei miei diretti superiori era un fervente fascista, anzi ...!
Capranica, a causa delle sue barzellette e citazioni scherzose, ebbe una grana non indifferente. Lo denunziarono perché al Ristorante "Fagiano" lo avevano sentito ... "sfottere Starace" e dire che era una "testa di ...!"
Mussolini era allora Ministro degli Esteri e Suvich, persona saggia e moderata che da buon triestino non amava i tedeschi, era il Sottosegretario e praticamente il capo di Palazzo Chigi. Capranica fu chiamato da Suvich che gli diede un "cicchetto" e gli domandò cosa avesse detto esattamente. Egli rispose né più né meno ripetendo, con molto gusto, la frase incriminata! Suvich, nonostante fosse una persona molto austera e compassata, non potè fare a meno di ridere e tutto finì lì!
Come si vede, la dittatura non era sempre tanto feroce come vogliono far credere... gli antifascisti di oggi, i fuoriusciti di ieri!

Era scoppiata, nell'autunno, la guerra d'Etiopia con l'incidente più o meno manipolato di Ual-Ual e io andai a fare il servizio militare come volontario, frequentando un corso accelerato per allievi ufficiali presso l'81° Fanteria a Roma. La mattina stavo in caserma e nel pomeriggio lavoravo, in uniforme, al Ministero.
Ebbi così modo di avere le prime disastrose impressioni della impreparazione del nostro Esercito dotato di materiale vecchissimo (il migliore dei cannoni era lo SKODA preda bellica della guerra 1915-18!) Molti ufficiali superiori, provenienti dalla bassa forza, erano professionalmente ignoranti e senza alcuna cultura generale, anche se alcuni con un brillante passato di guerra. Questo era l'Esercito da vent'anni praticamente nelle mani di Badoglio il quale l'aveva ridotto a sua immagine e somiglianza!
Al cerimoniale mi occupavo dell'organizzazione di viaggi di Personalità straniere in visita in Italia — dei privilegi dei diplomatici — e del ristretto bilancio dell'ufficio per cui ebbi anche da liquidare le fatture delle manifestazioni degli anni precedenti, tra le quali la Conferenza di Stresa fra le quattro Potenze europee e il Convegno di Strà, primo incontro — andato molto male — fra Hitler e Mussolini.
Quando i due dittatori decisero di incontrarsi per la prima volta, Mussolini ordinò che fosse allestita allo scopo la villa di Strà sulla pianura veneta, di proprietà dello Stato. La villa era in pessime condizioni e si dovette nel giro di un mese, restaurarla completamente e adattarla all'avvenimento. Si era dovuto, tra l'altro, rifare alcuni solai pericolanti, molti pavimenti, tutto il giardino, piantando addirittura alberi di alto fusto, creare sul tetto un grande serbatoio d'acqua e poi impianti igienici, cucine moderne, servizi elettrici e telefonici e ammobiliare il tutto con quadri, tappeti, letti, etc.
Per arrivare in tempo si fecero lavorare gli operai, giorno e notte, in tre turni di otto ore l'uno alla luce di enormi riflettori. Il risultato fu certamente molto bello ed imponente, ma non si era pensato che in quella stagione c'erano molte zanzare e tutte quelle del Veneto attirate dalla grande illuminazione notturna si erano... date convegno a Strà e allora... non era stato ancora inventato il D.D.T.!
Risultato: i due dittatori non poterono chiudere occhio e si alzarono di pessimo umore e con la faccia rossa e gonfia per le morsicature delle zanzare ...antifasciste che avevano sabotato l'incontro!...
Mussolini e Hitler non si accordarono in nulla e si lasciarono molto freddamente. Tale freddezza durò a lungo. E sì che Mussolini era, allora, considerato "il maestro" della rivoluzione, anche da Hitler che lo aveva imitato ed era stato molto aiutato nei primi tempi con aiuti finanziari che gli venivano recapitati dal Maggiore Renzetti, Console generale a Berlino e amico personale di Göring.
Ci volle comunque molto tempo, la guerra d'Etiopia e le sanzioni, perché i due Capi si ritrovassero.

Altra grossa spesa che il cerimoniale degli Esteri dovette affrontare fu quella della Conferenza di Stresa dell'aprile 1935. In quella occasione furono prese in prestito dal proprietario Principe Borromeo, le Isole Borromee e la villa fu sottoposta a completo rinnovamento persino varando tra l'altro, nel lago, cavi telefonici ed elettrici e alcuni "M.A.S." della Marina per assicurare il trasporto.
Stresa, per il "Patto a quattro" ideato da Mussolini e firmato a Roma nel 1935, dovrebbe passare alla Storia come una buona occasione perduta da Francia e Gran Bretagna per arrivare a un'intesa e prevenire i colpi di testa dei due dittatori. Tanto più che la Conferenza di Stresa faceva seguito al tentativo di Hitler nel 1934 di annettere l'Austria, dopo aver fatto assassinare il piccolo dittatore cattolico Dollfuss; tentativo impedito, per il momento, da Mussolini che inviò alcune Divisioni alla frontiera con l'Austria.

Engelbert Dollfuss: statista austriaco (Texing, Bassa Austria, 1892-Vienna 1934). Laureato in legge ed economia, dirigente di organizzazioni contadine ed esponente del Partito cristiano-sociale, divenne ministro dell'Agricoltura nel 1931 e cancelliere nel 1932. Sfidando i nazionalisti, bloccò le tendenze all'Anschluss ma, a partire dal marzo 1933, instaurò un regime sempre più autoritario, le cui tappe cruciali furono l'intesa con l'Italia di Mussolini (Convegno di Riccione, agosto 1933), e l'adozione (maggio 1934) di una Costituzione di tipo corporativo e di ispirazione clericale, che sanzionò il monopolio politico del Fronte patriottico costituito nel 1933. Indebolito dalle crescenti pressioni tedesche e degli ammiratori interni di Hitler, Dollfuss tentò di resistere ma finì assassinato il 25 luglio 34 nella stessa cancelleria, per mano di un commando nazista

Una vera intesa a Stresa fra i tre Paesi occidentali, cui in un secondo tempo avrebbe potuto aderire la nuova Germania di Hitler - secondo i principi del "Patto a quattro" firmato due anni prima a Roma ' - sarebbe stata benefica per l'avvenire dell'Europa. Ma intesa non ci fu: il machiavellismo anglo-francese non aveva affatto sostenuto Mussolini nella bega con Hitler per l'assassinio di Dollfuss, ben contente le due Potenze che i due dittatori si scontrassero. Fu, però, un machiavellismo di corta veduta. Infatti, come è noto, quando si presentò più gravemente il pericolo di Anschluss nel 1938, Mussolini che era stato lasciato solo dai franco-inglesi, dovette accordarsi con Hitler il quale potè occupare tranquillamente l'Austria.
Infatti sarebbe stato impossibile per l'Italia opporsi da sola alla Germania già modernamente armata.

Bisogna dire che l'unico che aveva capito l'importanza di un eventuale accordo era stato il francese Laval il quale aveva dimostrato maggiore buona volontà, sabotato tuttavia dal "Quai d'Orsay" sempre intransigente.
Mussolini voleva in primo luogo assidersi fra le Grandi Potenze e costruire a modo suo una specie di Unione europea "ante litteram", cioè un'Europa che ruotasse intorno alle quattro Potenze solidali. L'idea, dopotutto, non era malvagia ma i tempi non erano maturi e le velleità dei due Paesi occidentali, Francia e Gran Bretagna, soprattutto della prima, erano ancora eccessive: essi volevano tenere indefinitamente in condizioni di subordinazione Italia e Germania.
Questo il grande errore; non avevano capito nulla di quello che bolliva in pentola e delle aspirazioni dei due Paesi di più recente unificazione politica. I due Paesi occidentali persero così l'occasione di legare a loro l'Italia di Mussolini il quale voleva ormai ottenere mano libera in Etiopia alla cui conquista già pensava.

Le ambizioni rnussoliniane spinsero il fascismo sempre più fra le braccia di Hitler che non domandava altro perché non voleva rimanere isolato. Ma Mussolini, incapace di negoziazione, non aveva fatto alcuna specifica richiesta e Laval aveva istintivamente compreso che bisognava fare qualche concessione e dare una soddisfazione all'Italia che era uscita scontenta — dopo tanti sacrifici — dalla guerra mondiale; ma non fu ascoltato dalla Francia. Trovò tuttavia modo di mantenere contatti più amichevoli con il dittatore italiano e di fargli comprendere il proprio pensiero non ostile alle aspirazioni della penisola.

pag 41.....omissis..... pag 43

Il lavoro al Cerimoniale era intenso e anche di un certo interesse perché mi dava modo di conoscere e di parlare con molti diplomatici stranieri accreditati a Roma, sia presso la Real Corte che la Santa Sede dai quali, tra l'altro, ero spessissimo invitato; ma ne avevo quasi abbastanza e pertanto cercavo di cambiare ufficio.
Fortuna volle che il Vice Capo di Gabinetto del Ministro Vidau con il cui fratello, noto medico, andavo spesso a caccia nelle Paludi Pontine, mi chiamasse al Gabinetto del Ministro a sostituire Blasco d'Ajeta il quale, sentito prossimo l'avvento di Galeazzo Ciano come Ministro degli Esteri aveva, con l'opportunismo che lo distingueva, piantato in asso il suo Capo Ambasciatore Aloisi, Capo di Gabinetto oltre che Capo della Delegazione Italiana alla S.d.Na, a Ginevra. Quindi il posto, rimasto vacante, toccò a me.


 

La guerra d'Etiopia (pag 44)

Si stava intanto svolgendo la guerra d'Etiopia. Potei seguirla attentamente e venire a conoscenza di molti retroscena sia perché al Ministero avevo

Il Gen.Fidenzio Dall'Ora

 modo di conoscerne le varie fasi e gli sviluppi — dai telegrammi in arrivo e in partenza — sia perché, contemporaneamente, compivo il mio servizio militare all'81° Reggimento Fanteria come allievo ufficiale e poi al I Reggimento Granatieri come sottotenente. Venivo così a conoscenza di ciò che si pensava negli ambienti militari e, soprattutto, vedevo come reagiva il semplice cittadino, richiamato alle armi, di fronte all'opportunità o meno di questa guerra.
Ma, soprattutto, erano i contatti con il Generale Giuseppe Dall'Ora, Direttore generale del Genio al Ministero della Guerra, ufficiale intelligentissimo, molto colto e professionalmente assai preparato collaboratore molto capace ed amico di mio Padre. Questi contatti mi permettevano di sapere come andavano le cose, tanto più che il fratello di Dall'Ora, Fidenzio, Generale di Corpo d'Armata, era l'Intendente Generale del Corpo di spedizione in Etiopia, e il vero vincitore di quella guerra coloniale da lui preparata in breve tempo in modo perfetto dal punto di vista logistico, dei trasporti, dei rifornimenti e con la creazione di una imponente rete stradale. Era forse la prima volta nella storia che i soldati italiani combattevano da "signori"!
                                                                                                                                                

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Filippo Anfuso

Con altri colleghi mi occupavo del lavoro di segreteria per il Ministro e per il Capo del Governo e cioè sbrigavamo e smistavamo tutta la corrispondenza che per loro arrivava dall'estero e per quanto riguardava il Ministro anche di quella che veniva dall'interno. Il Capo della Segreteria fu in un primo tempo Anfuso e poi il Console Generale Natali. Funzionavo anche da segretario particolare di Anfuso quando egli divenne Capo di Gabinetto e dovevo occuparmi delle udienze del Ministro e del Capo di Gabinetto e di quelle di Mussolini richieste dai nostri Ambasciatori e da quelli stranieri accreditati a Roma. Ebbi così modo di conoscere una quantità di personaggi poiché dovevo intrattenerli quando, per vari motivi, le udienze subivano qualche ritardo. Era un lavoro complesso e abbastanza interessante che non ci lasciava tregua.
In quel periodo di servizio a Roma, che durò fino al 1942, feci vari viaggi all'estero per ragioni di servizio: il primo fu a Parigi e a Londra.
   
 
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Rientrato Ciano dalla sua partecipazione alla guerra di Etiopia, si strinsero sempre più i legami e addirittura l'alleanza con l'Austria e l'Ungheria che non avevano partecipato alle sanzioni contro l'Italia. Si era formata, così, un'alleanza tripartita che doveva sorvegliare e tenere in scacco la piccola intesa creata e sovvenzionata dalla Francia con funzioni antirevisionistiche e antiitaliane e che era capeggiata da quell'uomo di corte vedute e molto pretenzioso che fu Dened.
La piccola, triplice alleanza — che noi a Palazzo Chigi chiamavamo gli "ospedali riuniti" — era di per sé una buona idea, una specie di restaurazione in tono minore delle funzioni dell'Impero Asburgico che i "democratici" massoni avevano tanto stupidamente voluto distruggere con le conseguenze che ben conosciamo e doveva, nelle intenzioni italiane, servire da cuscinetto fra l'Italia e gli invadenti tedeschi e slavi. Il guaio era che dipendeva solo da noi per rifornimenti e armamenti ed il suo peso specifico era molto modesto. Si intensificarono, ad ogni modo, i contatti e le visite fra Roma, Budapest e Vienna.

A vari di questi viaggi presi parte anch'io ed erano dapprima interessanti e anche divertenti perché gli ungheresi a mio parere sono, o meglio erano, il popolo più simpatico d'Europa insieme ai polacchi e agli irlandesi, anche se tutti un poco matti, in un senso però molto simpatico, direi da signori ottocenteschi. Eravamo invitati nelle grandi tenute dell'aristocrazia ungherese. A caccia essi erano veramente impareggiabili, mentre tutti i nostri colleghi che si dicevano "cacciatori" facevano ben magra figura, tranne Vanni Revedin che era un grande ed esperto tiratore, il Console Gen. Natali, Capo della Segreteria di Ciano e, più modestamente, il sottoscritto. Ospite perfetto era l'Ammiraglio Horty, reggente della Corona di S. Stefano, bel soldato e perfetto signore oltre che sportivo e tiratore infallibile (tirava con un fucile a un colpo, calibro 20, senza sbagliare mai i tiri più difficili ai quali unicamente si dedicava). Horty e il suo aiutante di campo, altro ufficiale della Marina austroungarica, ritenevano di parlare un perfetto italiano, invece parlavano un veneto molto divertente. Questa era stata la lingua ufficiale della Marina imperiale i cui equipaggi erano quasi esclusivamente veneti, triestini, istriani e dalmati.

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Il reggente Ammiraglio Horty

Nelle campagne ungheresi, la famosa bella "puzta", vigevano ancora sistemi quasi medioevali. I contadini erano però tutti molto ben nutriti e ben vestiti, difettavano solo di denaro liquido. Ci accorgemmo che le laute mance che davamo ai guardiacaccia erano molto gradite. Il Paese abbondava di ogni sorta di ottime vettovaglie anche se era a corto di contanti e il tenore di alimentazione era elevato. Si vedevano gli effetti della seria amministrazione asburgica che avrebbe dovuto costituire un Impero, un embrione all'inizio dell'unificazione europea.

Tra le personalità che conoscemmo ci fu l'Arciduca Giuseppe Francesco, un absburgo ungherese valoroso e molto cavalleresco, comandante della Honved nel primo conflitto mondiale. Parlava correttamente l'italiano, come tutti gli Arciduchi che dovevano conoscere le lingue dell'Impero.

Al primo viaggio, a Vienna e a Budapest, prese parte la Contessa Edda Ciano Mussolini che in seguito non partecipò più a viaggi ufficiali. Era una donna molto strana, anche se indubbiamente intelligente. Si annoiava nelle visite ufficiali e non faceva nulla per rendersi utile. Era l'unica persona, oltre lo zio Arnaldo morto troppo presto, che il Duce stimasse e per la quale avesse un debole. Dato l'ascendente di cui godeva presso il padre, Edda avrebbe potuto moderarlo e parlargli chiaro su tanti guai del fascismo. Purtroppo, invece, agiva un po' da "passionaria" romagnola e lo spingeva, anziché frenarlo, contro ogni genere di principi e di istituzioni tradizionali: il Vaticano, la Casa Reale e l'aristocrazia la quale ultima, però, non era davvero meritevole di molta attenzione!
Due cose io ammirai particolarmente in Ungheria: lo splendido panorama del Danubio fra Buda e Pest e i bei ritratti del grande pittore ungherese Lazlö.
Dopo questi viaggi fui spesso incaricato di accompagnare il Cancelliere austriaco Schuschnig e il suo Ministro degli Esteri Schmidt — che poi lo tradì con i nazisti — nei loro viaggi in Italia a conferire con Mussolini a Rocca delle   
 
 
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Camminate e a Viareggio dove il Cancelliere andava a riposarsi. Schuschnig era una persona intelligente e simpatica. Con lui si parlava molto liberamente, tra l'altro parlava perfettamente l'italiano. Un giorno gli dissi che si sarebbero dovuti impiccare i nazisti assassini di Dollfuss, ma egli da buon democristiano che rifuggiva dal sangue, si strinse nelle spalle. Senza repressione, infatti, i nazisti che contavano sull'impunità in quanto anche alle Heimwehren del principe Stahrenberg non era permesso di perseguirli a dovere, continuarono a organizzarsi e a infiltrarsi in Austria, prostrata dalla crisi economica e dalla disoccupazione dilaganti e dove contavano innumerevoli simpatizzanti.
Così si preparavano per fagocitarla.

HEIMWEHREN
(1918-1938). Corpi paramilitari austriaci. Sorti per difendere la neonata Repubblica austriaca dal pericolo socialdemocratico e, in Carinzia, dalle rivendicazioni della minoranza slovena, venivano reclutati prevalentemente nei ceti medi rurali e svolsero un importante ruolo politico. Nel 1934 repressero con la violenza i moti operai. Dopo l'' Anschluss (1938) aderirono in gran parte al nazionalsocialismo.

Ciano, dopo una lunga infatuazione con i nazisti che purtroppo lo portò a troppo strette relazioni con loro e al patto d'acciaio, cominciava a ricredersi e ad iniziare in tono minore la sua fronda. Lo si notava dai suoi atteggiamenti nel salotto della Principessa Colonna o alla spiaggia di Castel Fusano, dove si attorniava di troppe belle pettegole. Lo notavamo noi, suoi segretari, che spesso la sera, ripulendo il suo tavolo ministeriale dalle carte riservate, trovavamo dimenticato il suo famoso diario e, ovviamente, da buoni segretari, lo leggevamo prima di chiuderlo in cassaforte. Egli scriveva una o due brevi pagine al giorno sugli avvenimenti e sui colloqui che aveva avuto, su agende-omaggio della Croce Rossa, rilegate in similpelle. In tali brevi note, com'è risaputo, egli era abbastanza sincero e obiettivo, vedeva le cose con chiarezza e cominciava ad essere preoccupato degli atteggiamenti sempre più bellicosi del suocero. Il fatto più grave era il progressivo infeudamento alla Germania con la quale c'era stato del freddo, dopo l'assassinio di Dolfuss, per l'atteggiamento tedesco infido durante la guerra di Etiopia, ma essa non aveva aderito alle sanzioni e per questo fatto Mussolini, che pure personalmente detestava i tedeschi, iniziò l'accostata che lo portò nelle braccia di Hitler, spinto anche dalla miopia politica di Parigi che — a parte i torti del Fascismo — non si era mai spogliata del complesso di superiorità e della "suffisance" nei riguardi dell'Italia.
Mussolini e i fascisti non si erano accorti che da Berlino erano partiti i peggiori attacchi della stampa francese all'Italia.
I tedeschi, ovviamente, avevano notato subito gli umori del "Duce" e cominciarono sempre più a circuirlo e ad incensarlo; incenso al quale lui era ultrasensibile.
Iniziò, così, la serie continua di scambio di visite fra i gerarchi dei due Paesi. Fu un traccheggio senza fine: come si sa, i politici italiani eccellono nel gusto del turismo pagato dal contribuente. Quello che avveniva allora, comunque, era niente rispetto a quanto accade oggigiorno nell'Italia democratica, a partire dai Presidenti della Repubblica!

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Si giunse, così, ai reiterati inviti a Mussolini perché visitasse la Germania. Egli dapprima rinviò, poi accettò. I tedeschi gli fecero un'accoglienza degna di un Capo di Stato. Hitler nei suoi discorsi chiamava Mussolini "il suo maestro". Tutto era perfettamente orchestrato da un ottimo regista: lo scopo e il risultato furono quelli di ottenere dal Capo del Fascismo la tacita acquiescenza ad un futuro ineluttabile, l' "Anschluss" con l'Austria. Il fatto fu chiaro più tardi, quando Hitler ospitando Ciano e noi del seguito a Berchtesgaden, ci portò nel "nido d'aquila" e mise in essere una grossa pantomina puntando un potente cannocchiale a trepiedi sul suo paese natale nella vicinissima Austria ed esclamando con gli occhi da pazzo che lo distinguevano: "Ecco io, capo della Germania, mi trovo a un passo dal mio villaggio natale e non ci posso andare come vorrei!" Tutti capimmo che l'invasione dell'Austria era imminente! Come infatti avvenne.

Ebbi occasione di prendere parte solo all'ultima fase del viaggio di Mussolini in Germania essendo stato incaricato di raggiungere la Missione recando un corriere di Gabinetto urgente. Fui quindi aggregato alla Missione stessa per un paio di giorni. I tedeschi mostrarono cose fantastiche; si visitarono alcuni magazzini militari di mobilitazione pieni di ogni materiale, nascosti in radure dalle innumerevoli foreste. In alcuni lunghi capannoni c'erano migliaia di fusoliere di aeroplani appese alle travate del tetto come tanti salami e immense scansie ove c'erano ali, timoni e motori, a perdita d'occhio. Altrettanto dicasi dei magazzini dei carri armati e dell'artiglieria.
La visita alla Krupp di Essen fu ancora più impressionante. Il più giovane dei Krupp, che fungeva da Cicerone, fece presente che il porto di Essen, praticamente porto privato della ditta, aveva un traffico annuale superiore al porto di Genova.

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Mussolini uscì come stregato da quella visita: fu allora che pensò, purtroppo, di dover stare dalla parte dei tedeschi se voleva realizzare le sue ambizioni.
Da parte mia notai con piacere che i generali tedeschi dell'esercito si interessavano più a me che indossavo una semplice divisa di tenente dei Granatieri (allora bisognava viaggiare tutti in uniforme e io preferivo quella dell'esercito) e si intrattenevano gentilmente con me parlando tutti bene il francese o l'inglese, dato che io non parlavo il tedesco, mentre trascuravano i miei superiori che vestivano rutilanti e ridicole uniformi della Milizia. Notai, inoltre, che disprezzavano le S.S. e le S.A. e tutto l'esibizionismo nazista.
Insomma, lo Stato Maggiore tedesco era una cosa molto seria checché raccontassero i giornalisti e i propagandisti anglo-francesi.
 

 

Durante il viaggio la figura di Hitler mi parve molto strana e patologica e anche in seguito, quando ebbi l'occasione di guardarlo da molto vicino, ne riportai la stessa impressione. Il suo modo di guardare la gente quando gli veniva presentata, di parlare a scatti, infuriandosi spesso a freddo, il non aver un pelo di barba all'infuori degli ispidi baffetti, faceva tutto supporre si trattasse di un malato paranoico. Non beveva, non fumava, anzi era assolutamente proibito fumare nella sala ove lui si trovava, anche dopo i pranzi. Mangiava cibi diversi da tutti gli altri invitati, servito da un tenente delle S.S.; si trattava, perlopiù, di riso in bianco, di pollo lesso e di una torta al cioccolato. Sempre le stesse cose.

Hitler di spalle, da sinistra il Col. Montezzemolo, Marieni, il console Manzi

Le donne non lo interessavano affatto; forse, se fosse stato attirato dal gentil sesso, come Mussolini, non sarebbe stato tanto feroce!
La storia del romanzo con Èva Braun, montata da giornalisti e scrittori occidentali, è probabilmente gonfiata. Vidi spesso, nei viaggi numerosi che si susseguirono in Germania, Èva Braun e mi parve fosse solo la governante che gli teneva la casa e dirigeva i domestici. Comunque, non aveva certo alcuna influenza sul modo di pensare e di agire del Fùhrer. 

Assistemmo qualche volta ai discorsi chilometrici di Hitler, della durata di anche cinque ore, nei quali ripeteva sempre monotamente le stesse cose. Una volta, sul palco di un teatro, noi italiani ci addormentammo tutti, tanto eravamo stanchi del viaggio e del pesantissimo programma, creando grande scandalo fra i tedeschi.
La menzogna, avvalorata da molti scrittori e "storici" da strapazzo a proposito della Germania, è stata quella di annoverare i Prussiani come i più feroci nazisti: niente di più  falso! I Prussiani erano certamente ottimi e valorosi soldati, degni delle loro migliori tradizioni e i loro ufficiali erano senz'altro convinti nazionalisti, ma in senso tradizionale e non certo nazista; erano degli Junker. Essi combatterono eroicamente su tutti i fronti, ma pochissimi erano nelle S.S. mentre la maggior parte militava nell'Esercito regolare. I Nazisti e le S.S. più feroci erano costituiti da bavaresi, renani, sassoni e soprattutto austriaci e altoatesini. Di questi ultimi, moltissimi si arruolavano nelle S.S. per imboscarsi e non andare al fronte; infatti si trattava perlopiù, almeno agli inizi, di truppe d'occupazione con compiti di polizia.

I
nazisti, che erano in fin dei conti socialisti, reclutavano, come i comunisti, i loro quadri fra i gradini più bassi della scala sociale ed anche fra veri criminali, gente affamata di potere e di denaro, che non rifuggiva né dall'uccidere né dal saccheggiare pur di salire nella gerarchia. Vari "gauleiter" e capi S.S. erano stati macellai o droghieri, altri ancora condannati per reati comuni. La volgarità delle loro donne, che sembravano lavandaie vestite a festa, dimostrava chiaramente le origini, a differenza delle mogli dei generali della Werhrmacht, di tradizioni guglielmine che, anche se modestamente vestite, denotavano di essere persone educate.
Da ciò deriva anche, oltretutto, il profondo disprezzo dell'Esercito regolare per i nuovi lanzichenecchi.
La ragione della fedeltà del popolo era data probabilmente dal fatto che, dopo anni e anni di fame, di disoccupazione e di umiliazioni dovute alla prima guerra e alle sue conseguenze con le riparazioni da pagare, all'inflazione ed all'incapacità dei governi socialisti e democristiani di superare la situazione, finalmente con la nuova politica del nazismo era tornato il benessere in misura notevole, rapida ed insperata. Bisogna riconoscere che Hitler aveva fatto molto e in breve tempo per il popolo e la rinascita della Germania.
Quando io visitai la Germania dopo solo pochi anni di nazismo vidi, ad esempio, completamente risolto il problema delle abitazioni. Ogni lavoratore, dopo solo pochi anni di impiego, era proprietario di una casetta tutta sua. Nessun altro Paese era stato capace di questo: pensiamo alla Russia di oggi, Paese potenzialmente ricchissimo che, ad oltre settant'anni dalla rivoluzione, ha ancora diffusissimo il fenomeno della coabitazione!
Gli scambi di visite fra gerarchi italiani e tedeschi si fecero sempre più frequenti e con essi, purtroppo, divennero più forti i legami politici fra i due Paesi.
Passato il periodo più pericoloso della tensione suscitata dalla guerra di Spagna si sarebbe potuto addivenire ad una distensione e a ciò pareva tendere il "gentlemen agreement" concluso fra Italia e Gran Bretagna per il rispetto dei reciproci interessi nel Mediterraneo. Purtroppo, invece, si giunse ad un periodo di pazzia sempre più grave che oscurò il raziocinio di Mussolini e ci portò alla seconda guerra mondiale.
L'incomprensione franco-inglese e la gelosia della Francia, per il fatto che l'Italia si avviava a diventare veramente una grande potenza, fece perdere l'occasione ultima che si era presentata per fare un gesto di amicizia verso il nostro Paese che sarebbe forse servita a trattenere Mussolini dall'abbraccio con Hitler.

II Duce era, infatti, imbestialito per l'atteggiamento della stampa francese che, come già detto, non sapeva fosse foraggiata invece dai tedeschi per isolare l'Italia e spingerla verso di loro. Egli aveva una certa ragione di protestare contro gli Stati sanzionisti, in quanto le sanzioni economiche non erano state applicate al Giappone che aveva peccato molto più gravemente contro lo spirito della Società delle Nazioni, con l'aggressione alla Cina e l'occupazione della Manciuria, e ciò solo perché il Giappone era considerato troppo potente, mentre erano applicate solo all'Italia perché considerata più debole. Questo, ovviamente, aveva offeso ancora di più Mussolini, già seccato perché il suo "patto a quattro", firmato a Roma nel 1933, non era stato nemmeno ratificato dalla Francia.

 Robert G. Vansittart

 Pierre Laval 

Qualcuno, invero, aveva capito che sarebbe stato necessario fare un gesto verso l'Italia: certamente Laval in Francia e, forse, Chamberlain e Vansittart, segretario permanente del "Foreign office" in Gran Bretagna, ma tutto era tramontato per la violenta opposizione delle sinistre e per la canea antifascista e anche antiitaliana dei nostri fuorusciti.
Così, non si volle capire che l'occupazione dell'Albania da parte di Mussolini, già nostro protettorato di fatto, era stata decisa non tanto per smania di espansione ma soprattutto in funzione antitedesca per la preoccupazione di mettere un catenaccio all'Adriatico minacciato dal nuovo "drang nach osten" della Germania che si era annessa l'Austria e poi la Cecoslovacchia.
Mussolini aveva notato il tradimento della Francia e della Gran Bretagna verso la Cecoslovacchia, loro  
amica ed alleata da tanto tempo, e questo lo spinse ad osare sempre più unitamente alla Germania.   
          
Dopo l'Anschluss ci si preoccupò di salvaguardare l'Alto Adige e si trovò Hitler propenso a farlo, tanto era il desiderio di avere l'Italia dalla sua parte. Fu concluso un accordo che costituiva una buona soluzione e che permetteva di lasciar scegliere agli interessati la Germania o l'Italia. A coloro che preferivano la Germania e il nazismo furono concessi ottimi indennizzi per gli immobili che lasciarono nella provincia di Bolzano. Ci voleva l'eccessiva tolleranza e una certa ingenuità da parte di De Gasperi e della D.C. per riammettere in Italia, dopo la guerra, questi veri nazisti cui furono restituite gratuitamente le terre e le case già profumatamente pagate!!
Una cosa quasi incomprensibile di tutto il periodo delle successive aggressioni hitleriane è il fatto che gli occidentali se ne meravigliassero e cadessero dalle nuvole ritenendo che l'aggressione in corso fosse sempre l'ultima e il Fùhrer si dichiarasse soddisfatto e si mettesse tranquillo. La spiegazione è data solo dall'ignoranza dei politici e uomini di Stato del tempo, i quali avevano letto soltanto ciò che era prodotto nei loro Paesi ma nulla di ciò che si scriveva all'estero. Nessuno, per esempio, si era preso la briga di leggere "Mein Kampf"! Eppure, nel suo libro Hitler era stato sincero — forse l'unica volta in vita sua — e aveva detto tutto quello che voleva fare. Se qualcuno lo aveva letto nei Ministeri degli Affari Esteri, lo aveva forse preso solo per un "bluff".
Anche Mussolini era stato abbastanza sincero nel parlare di ciò che voleva ottenere e della guerra futura. Quando poi, finalmente, attaccò, tutti parlarono di "tradimento" e di "coltellata alla schiena". Ma se erano anni che lo predicava!
Gli stranieri ragionano spesso a loro modo senza il minimo sforzo per mettersi nei panni ed entrare nello spirito che anima gli altri, anche se potenziali nemici. Si comportano col ragionamento come fanno nel loro modo di vivere e di ... mangiare; girano tutto il mondo, ma mai assaggiano qualche cibo o bevanda buona che sia al di fuori delle loro abitudini. La stessa identica cosa è accaduta a proposito dell'aggressività dei sovietici. Nessuno degli Ambasciatori anglosassoni a Mosca o degli scrittori cremlinologi ha mai saputo anticipare le mosse dell'U.R.S.S. perché nessuno si è voluto immedesimare nella mentalità russa e comunista. Ho dovuto notare spesso che sui sovietici ne sanno molto di più i finlandesi, i turchi e i cinesi, che non hanno mai speso miliardi di dollari nei servizi informativi, ma che conoscono la "forma mentis" dei loro secolari invasori ed aggressori.

Fu in questo periodo che Mussolini compì un grande errore politico e la maggiore ingiustizia dal lato umano: segno anche questo del suo rapido declino psichico. Per far vedere ai tedeschi che anche noi "facevamo sul serio" proclamò la legge per la "difesa della razza" ed espulse gli ebrei da tutte le cariche pubbliche e private. La campagna non fu cruenta e le misure furono applicate con una certa moderazione, all' "italiana", non come in Germania, ma le conseguenze furono gravi ugualmente per i colpiti. Molti benemeriti scienziati, generali, professori, ne fecero le spese. Perdemmo, così, Enrico Fermi, ebreo a metà, nonostante fosse stato nominato Accademico d'Italia. Lo strano è che gli ebrei da noi pur essendo pochi avevano, soprattutto agli inizi, sostenuto parecchio il fascismo. Due dei quadrumviri, Bianchi e Balbo, erano ebrei almeno al 50%, ma oltre a questi ve ne erano altri, come Aldo Finzi, Volpi, ecc. Perché in Italia se erano pochi gli ebrei al 100% — si parlava di cinquantamila — erano invece moltissimi i mezzi ebrei ormai assimilati al resto della popolazione. Essi, invero, erano spesso i peggiori, i transfughi, quelli che si mimetizzarono non avendo il coraggio di dirsi ebrei e che comunque non avevano tutte le spiccate qualità di intelligenza e di capacità proprie dei veri israeliti (A Roma il popolino dice che l'ebreo fesso ha ancora da nascere e che una famiglia ebrea, quando si accorge di avere un figlio non molto intelligente, lo fa battezzare cristiano!).

Il Gen. Milch fra Speer e Messershmitt

I mezzi ebrei che, come tutti i meticci, sommano i difetti delle due razze senza averne i pregi, da noi

 imperversavano, infiltrandosi ovunque. Ne sapevano qualcosa al Ministero degli Esteri che dopo la guerra ha avuto due Segretari Generali di tal genere! Tutti furono discriminati, cioè trovarono modo di "arianizzarsi"; alcuni erano anche ferventi fascisti. Ne avevamo un paio anche in carriera; pare arrivassero a giurare che la loro madre aveva fatto le corna al marito ebreo con un ariano e, pertanto, loro erano "dolicocefali biondi"! La stessa cosa era avvenuta in Germania con il Generale Milch, vero comandante dell'aviazione in quanto Göring era completamente rammollito dalla droga, e con il criminale di guerra Eichmann, poi impiccato dagli Israeliani.
Pare che del sangue ebraico avesse anche Heindrich, il peggiore dei criminali nazisti "Protettore" della Cecoslovacchia, ucciso a Praga da due partigiani boemi.
 I mezzi ebrei transfughi si rivelarono qualche volta antisemiti.
 A questo proposito a Roma, nella cupa tragedia, ci fu l'occasione di matte risate quando il bollettino della Direzione Generale della Razza, del Ministero dell'Interno, pubblicò diligentemente l'elenco dei nomi ebraici in tutti i Paesi: in esso, alla lettera H, figurava il nome di Heitler, non potendosi ovviamente mettere quello di Hitler! Il quale Hitler pare fosse egli stesso mezzo ebreo per via della madre!

La maledizione, che perseguita gli ebrei attraverso i secoli, è davvero una cosa terribile. Ad essa, in parte, ha contribuito anche la mancanza di

Lazar Moiseevič Kaganovič

 volontà degli israeliti di fondersi ed assimilarsi con gli altri popoli con i quali vivono, nonché il fatto di essere sempre stati piuttosto dei ribelli e dei rivoluzionari, cosa questa d'altronde più che comprensibile perché è logico che si ribellassero contro i regimi dei loro persecutori.
Certo che, ad esempio, tutti o quasi i teorici ed iniziatori del comunismo furono ebrei; basti pensare a Marx, Engels, Trotzkij, Lenin (50%) etc. Parimenti le spie atomiche in favore di Mosca erano quasi tutte ebree. Anche da noi, tra i comunisti e i socialisti, ci sono sempre stati gli ebrei o i mezzi ebrei. In Unione Sovietica agli inizi gli ebrei erano numerosissimi nel partito, nella diplomazia e nel governo fino a quando Stalin li estromise tutti tranne il cognato Kaganovic e iniziò la persecuzione. Alcuni pensano che la rinnovata persecuzione degli ebrei è forse il primo e più grave errore da parte del comunismo in quanto, mentre prima gli organi di propaganda controllati dagli israeliti e gli ambienti intellettuali — molto numerosi specie in America — erano stati molto blandi se non addirittura favorevoli al comunismo, a questo punto gli si opposero nettamente.
                                                                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                                                                                                          
In Italia, favorevoli alla campagna antisemita furono solo pochi fra i fascisti più stupidi e fanatici: tra questi Farinacci e Interlandi. Si può dire che anche la popolarità di Mussolini, molto notevole fino ad allora, cominciò a declinare proprio da quel momento perché nessuno capiva, tra l'altro, la smania di scimmiottare i tedeschi. Comunque, molti cercarono di attenuare la portata dei provvedimenti; tra questi, lo stesso Ciano che autorizzò segretamente i Consoli in Svizzera a concedere ai profughi ebrei che sfuggivano dai Paesi occupati dai tedeschi, un passaporto italiano di breve durata e non rinnovabile perché potessero attraversare le zone della Francia di Vichy e andare in Spagna e in Portogallo per imbarcarsi per oltreoceano.
Ad onor del vero devo dire che persino Göring mandò a Ciano il suo fedelissimo aiutante con una lista di molti ebrei tedeschi "suoi amici" pregandolo di concedere un lasciapassare perché da Genova potessero andare oltreoceano. Erano effettivamente suoi amici, o lo avevano pagato? Comunque, da parte israeliana si è sempre riconosciuto quanto da molti italiani è stato fatto per attenuare la durezza della persecuzione e nessun italiano, fascista o no, è stato accusato come criminale di guerra.

A proposito della persecuzione antisemita, devo dire che si sapeva benissimo e da tempo, in Italia, che essa esisteva nei Paesi controllati dai nazisti, nel senso che gli ebrei venivano arrestati, privati di tutti i loro beni e inviati in campi "di lavoro", ma non si è saputo che molto più tardi, a guerra ormai inoltrata, della "soluzione finale" di Hitler e dei campi di sterminio.
La Santa Sede stessa, che aveva ottimi servizi di informazione, non ne sapeva di più; i nazisti, quando volevano, sapevano mantenere i loro segreti ed erano pochi anche i tedeschi che ne erano informati.
Quindi, assolutamente falso è quanto afferma un ebreo tedesco in un libro, recentemente pubblicato, "II Vicario" che Pio XII non aveva fatto nulla per salvare gli ebrei. Il Papa, quando aveva saputo e potuto era effettivamente intervenuto salvando moltissime vite. Furono piuttosto le autorità svizzere che, quando già si sapeva del massacro di ebrei, dopo averne ammessi un notevole numero, chiusero le frontiere e respinsero fra le braccia delle S.S. molti nuovi profughi votandoli a sicura, orribile morte e questo con la scusa che ne erano arrivati già troppi e che i viveri difettavano!

I tedeschi, per meglio confondere le idee, ad un certo punto avevano ventilato ufficiosamente la proposta di costituire uno stato ebraico nell'isola di Madagascar inviandovi a mezzo della Croce Rossa Internazionale i profughi dall'Europa centro-orientale. Se attuata, sarebbe stata una proposta meno crudele e più intelligente in quanto avrebbe costituito per gli alleati occidentali una grossa grana, una vera patata bollente.

Da: http://it.wikipedia.org/wiki/Schloss_Bellevue
Il castello venne utilizzato prima come residenza estiva da parte del principe Ferdinando, fino alla morte avvenuta nel 1813. Successivamente il castello venne usato dal figlio, fino a quando nel 1844 l'edificio venne rilevato da Federico Guglielmo IV di Prussia. Quest'ultimo organizzò in un'ala del castello una mostra permanente di quadri. Durante la Prima guerra mondiale l'edificio venne usato dal comando militare dell'epoca. Dal 1935 in poi, invece, venne trasformato in un museo etnografico. Nel 1938 venne nuovamente modificato, su progetto dell'architetto Paul Baumgarten, per diventare un albergo per gli ospiti del regime nazista. Gravemente danneggiato da una bomba incendiaria nel 1941, dopo la fine della guerra venne sottoposto ad un attento restauro, al fine di diventare la seconda sede ufficiale del presidente della Repubblica Federale Tedesca. Dopo la riunificazione della Germania, il castello fu sottoposto a nuovi restauri e oggi è diventato la residenza ufficiale del presidente tedesco.

E' orribile pensare che, mentre avvenivano queste feroci tragedie in Europa, noi andavamo spesso in Germania in missione allegri e contenti, ridendo degli scherzi che Piero Cittadini, Capo del Cerimoniale, e Filippo Anfuso, Capo di Gabinetto, facevano di continuo, illusi che Mussolini avrebbe saputo tirare la corda senza però lasciarla mai spezzare. Si era certi di questo anche perché preparativi di guerra in Italia non ce n'erano affatto. In Germania dovevamo prendere, comunque, molte precauzioni perché sapevamo che c'erano microfoni dappertutto e, pertanto, per parlare dei nostri affari o per dettare telegrammi per Roma dovevamo andare in Ambasciata o nei bagni dello "Schloss Bellevue" ove eravamo alloggiati, tirando continuamente lo sciacquone per disturbare gli ascoltatori!

 

L'occupazione dell'Albania

Era intanto avvenuta l'occupazione dell'Albania. Preparata con gran disordine e in apparente segreto, era l'unico apprestamento militare in corso per cui erano stati richiamati riservisti che tutti sapevano destinati all'Albania, persino alcuni figli dei miei contadini di Bergamo.
Al Ministero degli Esteri, invece, segreto assoluto! Il funzionario napoletano del Gabinetto, incaricato del collegamento con il Ministero della Guerra per le operazioni Albania, faceva il misteriosissimo, però aveva pensato bene di vestire l'uniforme di tenente degli Alpini per passeggiare per Roma fra Piazza Colonna e Via xx Settembre, portando una borsa con quattro carte, tanto che fu chiamato da noi 1' "alpino", come lo definisce anche Anfuso nel suo libro. Era un modo come un altro per fare l'eroe con poca spesa!

Il viaggio in Iran

 

Per quanto riguarda il sottoscritto, intanto ero stato incluso nella Missione del Duca di Spoleto che avrebbe dovuto andare in Persia per assistere alle prime nozze dello Scià, recentemente defunto, allora principe ereditario, con la sorella di Re Faruk d'Egitto.
Potevo scegliere fra due missioni, una a New York per la Fiera internazionale presieduta dall'Ammiraglio Cantù e l'altra per l'Iran: preferii quest'ultima. Mi interessava l'Oriente e poi pensavo che a New York avrei potuto sempre andare in un modo o nell'altro, mentre in Persia le occasioni sarebbero state molto più rare.
Fungevo da segretario e da organizzatore della Missione, ne amministravo i fondi molto scarsi perché, ad onor del vero, al tempo del fascismo il denaro pubblico era amministrato con maggior parsimonia e più onestamente di adesso e dovevo pensare a tutto. Gli altri si riservavano solo le critiche; l'unico che non ne fece mai fu proprio S.A.R. Aimone Duca di Spoleto, Capo della missione e compagno di viaggio simpaticissimo e allegro che, in seguito, ci onorò della sua amicizia e fu anche testimone di nozze al mio matrimonio con Marina degli Albizzi quasi tre anni dopo.

 

Fu un viaggio interessantissimo e molto divertente in una Persia che Reza Scià Pahlevi, padre dell'ultimo Scià, cercava di modernizzare con notevole successo.

Marieni in divisa diplomatica

Pur essendo analfabeta — firmava i decreti con il sigillo — era però molto capace ed energico; certo lui non avrebbe lasciato il Paese agli ayatollah senza combattere, come fece il figlio più civilizzato perché aveva studiato in Inghilterra. Reza Pahlevi, quando gli davano fastidio gli ayatollah con le loro stupide pretese, li faceva bastonare di santa ragione sulla pubblica piazza dai suoi soldati e gettare in galera. È pericoloso, infatti, atteggiarsi a democratico e agire di conseguenza in un Paese primitivo come quello. E ciò che fanno ovunque gli americani con le conseguenze che tutti conosciamo!
Ci imbarcammo a Brindisi sulla nave "Barletta" della "Adriatica" che faceva servizio per Beirut. Era un vecchio piroscafo austriaco molto piccolo ma bello. Le cabine erano minuscole tanto che, per far dormire il Duca di Spoleto che era molto alto, dovemmo far praticare un buco nella parete. Così lui poteva allungare le gambe... nella dispensa! Il servizio e la cucina sui piroscafi dell' "Adriatica" erano rinomatissimi e tutte le mattine il capo-cuoco con un immenso berrettone bianco veniva a sottoporre al Principe un menu prelibato domandandogli che cosa gradisse. Aimone, invece, ordinava pietanze paesane: pasta e fagioli, baccalà alla genovese o caciucco con molto aglio! Il cuoco, raffinatissimo, ne era desolato però ci preparava quei semplici piatti folcloristici in modo perfetto e squisito.  A poche ore da Brindisi incrociammo la nostra i Squadra navale diretta a Durazzo e Valona per lo sbarco del Corpo di spedizione destinato ad occupare l'Albania. Avevamo saputo che la Squadra inglese del Mediterraneo, rinforzata da altre navi, aveva salpato da Malta per compiere una dimostrazione, ovviamente non amichevole, nello Jonio. Avevamo, pertanto, qualche preoccupazione e il Duca era sulle spine perché, dato il suo grado di Ammiraglio di squadra, avrebbe voluto rimanere a disposizione della Marina in caso di complicazioni.
Poche ore dopo apprendemmo, tuttavia, che lo sbarco era avvenuto tranquillamente, senza ostacoli. A Beirut, sbarcammo tutte le nostre numerose impedimenta, comprese alcune casse di acqua S. Pellegrino e di whisky. Infatti, il colonnello medico della Marina, che era con noi, ci aveva giustamente proibito di bere acqua a terra e di mangiare verdure e frutta crude o dolci con panna.

I Paesi asiatici infatti sono, tranne il Giappone che è pulitissimo, i più sporchi del mondo e il tifo e il colera vi erano endemici. Dopo averci vaccinato, il dottore ci prescrisse di lavarci i denti con l'acqua minerale italiana e ci diede due pastiglie di permanganato da mettere ogni giorno nell'acqua della vasca prima di fare il bagno!

Credevamo che ciò fosse un'esagerazione ma constatammo, poi, che il medico aveva perfettamente ragione.
 

VIAGGIO IN PERSIA CON LA DELEGAZIONE ITALIANA PRESIEDUTA DA S.A.R. IL PRINCIPE AIMONE DI SAVOIA DUCA DI SPOLETO IN OCCASIONE DEL MATRIMONIO DEL PRINCIPE EREDITARIO MOHAMMAD REHZA PAHLAVI FIGLIO DI REHZA SCIA' IL GRANDE CON FAWZIA BINT FUAD SORELLA DEL RE D'EGITTO FARUK I

Reza Pahlavi
detto Reza Scià il Grande

Mohammad Reza Pahlavi ultimo Scià di Persia

Fawzia Bint Fuad
 prima moglie dello Scià

Presentazione della delegazione italiana a Reza Scià il Grande

 

                             Trasferimento da Beiruth a Damasco e Baghdad corriera della Nairn Transport Company                                              Sosta per pranzo nel deserto della Siria

Autoblindate di scorta attraverso il deserto siriano

Baalbek -Libano

Baalbek -Libano

Babilonia

Ctesifonte- Taq Kisra

Kermanshah Iran- Tagh e Bostan

Incontri del Duca di Spoleto con l'erede al trono di Persia Mohammad Reza Pahlavi e la principessa Fawzia Bint Fuad


La missione in Iran aveva lo scopo precipuo di promuovere l'intensificazione degli scambi con l'Italia da parte di un Paese che dimostrava chiaramente insofferenza verso la tendenza inglese a monopolizzare i traffici, considerando l'Iran ancora quasi una colonia.
Noi avevamo già delle buone premesse: ditte italiane lavoravano alla costruzione della prima ferrovia iraniana Teheran-mare: la Marina imperiale mandava i suoi allievi ufficiali all'Accademia di Livorno e i nostri cantieri le fornivano siluranti e naviglio leggero. Allo scopo di tentare la fornitura anche di aeroplani ci raggiunse a Teheran un aereo BA 82 della Breda, apparecchio bimotore da bombardamento, il primo aereo di tal genere completamente metallico da noi costruito. Era un apparecchio veloce che rappresentava, senza dubbio, un notevole progresso per la nostra Aviazione. Necessitava, però, di piloti di gran classe perché aveva il grave difetto di entrare in autorotazione a determinate velocità. Si sarebbe potuto rimediare a tale difetto nelle successive serie, ma la nostra Aviazione ne abbandonò la costruzione perché non era prodotto ... dalla Fiat cui l'Aviazione dava sempre la preferenza. Queste preferenze sarebbero costate care alla nostra Arma aerea nella 2a  guerra mondiale!
Dopo giorni di visite ufficiali, il Duca e i componenti la Missione italiana furono invitati dallo Scià a compiere una visita turistica nel Paese; io profittai per sganciarmi e tornare a Roma per la via più rapida e cioè Bagdad con la linea aerea italiana per Roma, da poco inaugurata. La Missione sarebbe tornata via mare un mese dopo.
Ero infatti molto preoccupato per le notizie degli avvenimenti mondiali e mi interessava saperne di più.



L'annessione dell' Albania.
 

pag 79.....omissis..... pag 80

Io avevo visitato l'Albania quasi due anni prima al seguito del Ministro, quando si era trattato di concludere il Patto di alleanza che di fatto

Durante un viaggio in Albania, l'aereo che trasportava la delegazione italiana fece un atterraggio lungo e finì con il carrello nel fosso a fine pista. Tutti i passeggeri furono invitati  a spingere l'aereo fuori dal fosso e rimetterlo in carreggiata.  

trasformava quel Paese in un nostro protettorato, in cambio del nostro sostegno politico e finanziario per re Zog.
Allora Ciano si era dato da fare anche per trovare una moglie italiana per quel sovrano e voleva presentargli due ragazze dell'aristocrazia romana: la prima piuttosto allegra e navigata aveva subito declinato l'onore, mentre l'altra, più seria, aveva voluto andare a visitare l'Albania per conoscere quel Paese, ma ne era subito scappata, inorridita. C'era poi il maggior ostacolo costituito dalla religione mussulmana di Zog. Così egli aveva finito per sposare, forse più volentieri, la figlia cadetta di una nobile famiglia ungherese, Geraldina Appony, una bella ragazza che io avevo conosciuto a Budapest dove faceva l'interprete e la hostess per quel Ministero degli Esteri. Per noi quel matrimonio andava bene, essendo l'Ungheria Paese alleato e amico dell'Italia.
Nella precedente occasione, la visita a Tirana si era svolta in un clima e in un
ambiente
da operetta di paese balcanico tra i soliti commenti di Anfuso, sempre spiritoso e vivace. Re Zog aveva contro numerose "vendette di sangue" per aver fatto fuori i suoi nemici di varie tribù e, pertanto, temeva di essere assassinato.
Mangiava solo il cibo preparatogli dalle sorelle e si diceva che quando non poteva farlo,
mangiasse solo uova sode! Parimenti, quando circolava per Tirana in carrozza, o in auto, stava sempre seduto fra due sorelle perché gli albanesi erano abbastanza cavallereschi per non tirare bombe, o sparare con armi da fuoco, quando vi erano delle donne che potevano essere uccise. Era poi attorniato dalla sua guardia del corpo composta da mercenari stranieri dell'Europa danubiana, perlopiù rivestita di uniformi
ottocentesche da ussari ungheresi e comandata da un tenente colonnello inglese
o scozzese che noi volevamo far licenziare ad ogni costo perché ritenuto una spia dell'
"Intelligence Service".
Al pranzo ufficiale, offertoci al "Palazzo Reale", una specie di stamberga dai soffitti bassissimi, Anfuso mi domandò se avevo portato un cagnolino per fargli assaggiare i cibi perché, aggiunse, "questa è la volta buona per essere tutti avvelenati"! Al pranzo seguì un ballo e noi, in uniforme diplomatica e reggendo spadina e feluca, dovevamo ballare con le sorelle del sovrano e le varie dame al suono di una banda militare che nel giardino sotto le finestre aperte per il caldo afoso, alternava pezzi ballabili alla marcia dell'Aida e ad altri pezzi d'opera! Per ballare bisognava girare intorno ad un enorme lampadario di Murano che, dato il basso soffitto, toccava quasi il pavimento. Io, comunque, riuscii a fare coppia fissa con una bella ragazza italiana, nipote dell'Ambasciatore Aloisi e figlia del nostro Console onorario a Valona.
Così Mussolini aveva avuto la sua soddisfazione, anche se magra, rispetto all'espansione dei tedeschi di cui era geloso, ma dei quali allo stesso tempo diffidava. Infatti, come già detto, aveva voluto mettere un catenaccio all'Adriatico quale supposto ostacolo all'espansione germanica verso il sud.
La Jugoslavia, comunque, se n'era allarmata e gli inglesi, ovviamente, avevano mal digerito il mutamento dell'equilibrio nel Mediterraneo che violava il Gentlemen's Agreement del 1937.


Questi fatti, e queste suscettibilità, spinsero maggiormente il Duce, sempre più emotivo ed impulsivo, nelle braccia della Germania nazista ideologicamente più vicina al fascismo.
Ciano, che pur detestava i tedeschi, come suo padre, con la solita incostanza che lo portò alla rovina, si mise impudentemente a darsi da fare per tale rivolgimento politico filo-tedesco sapendo che un ravvicinamento alla Germania, dalla quale ci divideva il problema dell' "Anschluss", avrebbe comportato il cambio della guardia a Palazzo Chigi ove Suvich, ultra tedescofobo, da buon triestino, non sarebbe potuto restare.
La poltrona di Ministro degli Esteri, cui Ciano tanto ambiva, sarebbe rimasta libera per lui!
Così avvenne che Galeazzo Ciano, che non era nel suo intimo un vero fascista e tanto meno uno squadrista come si era invece proclamato o un germanofilo, ma solo un borghese vero e proprio, quale Ministro per la Stampa e Propaganda scatenò con i suoi amici giornalisti una orchestrata campagna filo-tedesca per farsi credere più fascista degli altri.
Galeazzo, come ora tutti lo chiamavano, benché alquanto facilone e pur essendo un uomo intelligente che conosceva abbastanza il mondo e anche il "mestiere" di diplomatico meglio di Mussolini, aveva ancora l'illusione che l'accostata filo-germanica avrebbe potuto essere graduata e controllata e spinta solo quanto bastava per servire da contrappeso alle Potenze occidentali.
Senonché il Duce, come detto, cominciava a dare segni di progressivo e precoce rammollimento e da "Maestro" come lo stesso Hitler fingeva di considerarlo, stava rapidamente scadendo alla posizione di allievo e seguace del Fùhrer al quale si andava sempre più avvinghiando, ingenuamente felice che i tedeschi riconoscessero per primi l'Impero italiano e combattessero in Spagna contro i rossi a fianco delle nostre truppe.
Il giovane Ministro degli Esteri aveva in certo qual modo rivitalizzato Palazzo Chigi ove i vecchi diplomatici erano piuttosto spenti e senza fare stragi si era attorniato di persone abbastanza efficienti che conoscevano il mestiere: lo si vedeva nei telegrammi di istruzioni che stilava con efficacia e chiarezza. Detestava la verbosità tanto cara ai vecchi diplomatici e arrivò sino ad addebitare ai Capi Missione i telegrammi troppo lunghi e vuoti di significato.
In poco più di un anno e mezzo dalla presenza di Ciano la politica estera italiana aveva conseguito anche qualche successo. L'avvicinamento alla Germania aveva riequilibrato a nostro favore la situazione nei rapporti con le Potenze occidentali. Il "Gentlemen's Agreement" del 1937 con la Gran Bretagna (reso possibile dalla caduta di Eden cui aveva abilmente contribuito l'Ambasciatore Grandi) e la nostra posizione preminente in Spagna, nonostante l'ambiguità di Franco, ci davano una sicurezza assoluta nel Mediterraneo, mentre lo scompaginamento della Piccola intesa — creazione artificiosa dei francesi — con i nostri accordi con l'Ungheria, la Romania e la Jugoslavia ci davano una posizione di prestigio e di tranquillità nel bacino danubiano balcanico. Se ci fossimo accontentati saremmo stati in una botte di ferro. Ma così non la intendeva il Duce che era uso spingere le cose agli estremi, legandosi sempre più a Hitler e diventandone succube.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Fu a questo punto che Ciano cominciò a staccarsi tardivamente da lui e ad ironizzare nell'ambito delle sue conoscenze sugli atteggiamenti e le decisioni del capo. Noi, della sua Segreteria, ce ne accorgemmo subito per i suoi commenti e le sue reazioni agli avvenimenti ed anche, come già detto, per la lettura del suo famoso diario.

Schema dei posti a tavola al ricevimento offerto a Berlino da Heinrich Himmler alla delegazione italiana capeggiata dal Ministro degli esteri Conte Ciano

 

Schema dei posti a tavola al ricevimento offerto a Berlino da Hermann Göring alla delegazione italiana capeggiata dal Ministro degli esteri Conte Ciano


 

Ciano, comunque, parlava troppo per farsi bello, soprattutto nelle serate di Palazzo Colonna ove pullulavano i pettegoli e gli informatori, sia degli inglesi che dei tedeschi. Tra questi ultimi c'erano le due bellissime, quanto facili, svedesi, mogli di due funzionari dell'Ambasciata germanica a Roma, Von Klemm e Von Bismark, mandate a Roma da Ribbentrop col compito di sedurre i gerarchi italiani, e Ciano per primo. Quest'ultimo, mentre sparlava liberamente dei tedeschi e anche di Mussolini — tutte cose che a Roma erano subito risapute — non ebbe mai l'ardire di parlare chiaro al Duce, di dirgli che non condivideva la sua politica bellicista. Sperava, invece, di riuscire ad addolcire e a ridurre le drastiche e avventate decisioni del Capo. Ma non ebbe mai il coraggio di opporsi chiaramente, accettando anche nell'incontro di Milano con Ribbentrop, totalmente e senza nessuna modifica, il progetto di trattato di alleanza preparato da quest'ultimo. Si scivolava così rapidamente verso la guerra.
 

SEGUE: 
 

2) Il Patto d'acciaio e lo scoppio della guerra

 

3) Contatti ufficiosi per negoziati di pace

 

4) Il dopo-guerra


 

 

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