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Nel 2004 in collaborazione con il Comune di Savona è iniziato un percorso di approfondimento sulle principali figure savonesi che coinvolge nella ricerca le scuole presenti sul territorio. Il primo personaggio preso in esame è stato Giuseppe Saredo.
Le scuole coinvolte direttamente nel progetto sono state le elementari del quartiere Fornaci (dove è nato ed aveva casa Giuseppe Saredo), il liceo classico G. Chiabrera di Savona ed il liceo artistico.

Qui di seguito vengono riportati integralmente quattro paragrafi del pregevole lavoro svolto sotto la direzione dei docenti Prof. Raffaella Bertolo e prof. Riccardo Sirello, dai vari gruppi composti come segue:
G
ruppo di contestualizzazione: Gilles Pignone ( capogruppo); Margherita Ciocca; Francesca Borghini; Pier Lelio Freccero; Beatrice Travagliati.
Gruppo storico-biblioteca: Annalisa Loviglio (capogruppo); Stefano Minuto; Paolo Cavallo; Simona Montaldo; Sara Briasco; Mattia Massone; Giovanni Pastorino.
Gruppo giuridico: Athena Galletto (capogruppo); Elena Genero; Francesca Bosco; Valeria Conte; Fausta Fortelli; Simone Giadresco; Sergio Scolastico.

 

ESPERIENZE UNIVERSITARIE

Pronunciandosi per un decentramento delle attribuzioni statali che riconoscesse all’individuo maggior autonomia, Saredo aveva ben presente il campo dell’istruzione.

Nella lettera inviata a Minghetti il 27 ottobre 1861 per annunciargli l’uscita della biografia, Saredo aggiunge che il ministro dell’istruzione De Sanctis, volle affidargli l’insegnamento straordinari del Diritto Costituzionale all’università di Parma, evitando quella di Bologna dove Saredo aveva diversi nemici.
La causa di ciò è da ricercarsi nella posizione fortemente critica mantenuta da Saredo verso i metodi e le direttive d’insegnamento che vedeva allora consolidarsi.
CIT.: “…vi è un punto che mi angoscia e mi preoccupa profondamente, è la libertà di insegnamento, base e germe di tutte le altre libertà.”

A Parma Saredo si trovò bene, incoraggiato dal concorso veramente inaspettato e straordinario di giovani avvocati parmensi che ne frequentavano le lezioni. Ed è proprio a Parma che Saredo conseguì, “ad honorem” la laurea in Giurisprudenza.
Dopo i primi anni, Saredo non trovò più sbocchi alla sua attività, definendo Parma “città senza avvenire” e l’università “frequentata da pochi studenti e destinata a sparire”.

Nel 1864, anno del trasferimento della capitale da Torino a Firenze, Minghetti, presidente del consiglio dei ministri, avrebbe fatto nominare Saredo, dal ministro dell’istruzione Ameri, professore di economia politica nell’ istituto di perfezionamento di Firenze.
Il re Vittorio Emanuele II, avrebbe firmato la nomina con regio decreto. Ma il progetto non ebbe l’esito sperato, perché sorsero disapprovazioni di cui si fecero interpreti
Giovanni Lanza e Ubaldino Peruzzi.
Si delineò così la decisione di abbandonare la carriera universitaria e di recarsi nella capitale Firenze per abbracciarvi il giornalismo e l’attività forense, come avvocato.
Saredo, in realtà, non si dedicò mai alla libera professione di avvocato, come occupazione prevalente; anzi, poiché egli amava in modo particolare l’insegnamento, finì poi col modificare le sue decisioni, accettando, nel 1866, un incarico all’università di Siena.

In seguito Saredo si rivolse nuovamente a Minghetti per ottenere una nomina definitiva
          
Giovanni Lanza             all’università di Pavia dove avrebbe volentieri ricoperto la cattedra di Diritto Amministrativo.    Ubaldino Peruzzi 1822- 1891
Invece, in seguito, gli venne assegnata una cattedra a Roma, nuova capitale, che diventò la sua residenza abituale. Anche qui, però, il suo avvio fu faticoso. A Roma esercitò la docenza fino al 1879, in quell’anno ricevette, infatti, da Agostino De Pretis la nomina a Consigliere di Stato, carica che era incompatibile con l’insegnamento.

 

GIUSEPPE SAREDO E QUINTINO SELLA

Saredo, nella lettera del 18 settembre 1876 a Quintino Sella, intorno a cui si andavano raccogliendo le forze moderate per la prima volta all’opposizione, scrive: “Ho sentito dei canditati alle prossime elezioni dirmi chiaro che andranno con lei se non è più l’uomo della destra”.

Nella lettera del 13 ottobre 1876 Saredo ribadisce: “l’opinione pubblica è ardentemente, febbrilmente ostile alla Destra: non già che ami la Sinistra! No: non vuole la destra. Sicché si può dire che non sa quello che vuole: ma sa quello che non vuole”.

   

Quintino Sella 1827-1884

 

Saredo vede la necessità di un programma di fusione dei Centri e auspica che Minghetti si dichiari disponibile ad assumerne la guida, “per dominare la situazione che sarà creata dall’elezioni”.
Ripone notevole fiducia nelle elezioni, infatti sempre nella lettera del 13 settembre, offre alcune pratiche indicazioni.

Consiglia a Sella di vincere “la sua ripugnanza alle dimostrazioni”, perché è “un uomo così diverso dal feroce finanziere presentato dai giornali” e di dichiarare “che l’opposizione non mira a paralizzare, ma a assecondare l’azione del governo”.

Nel discorso che Sella tiene il 15 ottobre 1876 agli elettori di Cossato, esprime opinioni abbastanza concordi a quelle di Saredo.
Sempre nella lettera del 13 settembre Saredo scrive: “ella si chiederà se con questo avrà la vittoria. Certamente no: ma ho la convinzione che si preparino i germi della
vittoria futura”.

L’elezioni del novembre 1876 danno sostanzialmente ragione a Saredo che aveva previsto una flessione della Destra, specialmente nel Mezzogiorno.

In un’altra lettera del maggio 1877 (senza data) Saredo assicura a Sella: “il Diritto è pronto a divenire, a tempo opportuno, l’organo della fusione dei centri sotto la vostra ispirazione”. Questa lettera reca in calce un abbozzo di risposta da parte di Sella che rivela disponibilità e ottimismo verso l’accordo che pareva delinearsi.

Sella però non risponde alle aspettative generali e, nel maggio 1881, quando il re pensa a lui come capo del nuovo gabinetto, il tentativo fallisce.

 

GIUSEPPE SAREDO E MARCO MINGHETTI

Giuseppe Saredo accetta l’incarico per la Casa Pomba di stendere una biografia, che si rivelerà essere “un manifesto politico e amministrativo” sullo statista Marco Minghetti, ministro dell’interno del primo gabinetto del Regno prima, e dell’Agricoltura, Industria e Commercio poi.
 

   

Marco Minghetti 1818-1886

 

Nella lettera dell’8 agosto 1861 Saredo da “partigiano ardente e risoluto delle dottrine liberali e regionista determinato”, come Minghetti stesso, afferma di aver apprezzato i suoi progetti di legge sul riordinamento amministrativo del Regno.

Evidenzia in modo particolare, “forse un po’ troppo appassionato”, il disegno di legge “sui consorzi fra privati, comuni e province, per cause di pubblica utilità” secondo cui lo Stato deve affidare “all’individuo, al comune, alle province quelli uffici che questi possono far meglio di lui”.

Saredo è invece critico sulle conclusioni esposte dal Minghetti nell’opera del 1859: “Dell’economia pubblica e delle sue attinenze con la morale e con il diritto”.

 Minghetti afferma che: “le leggi per le quali la ricchezza si produce, si riparte e si consuma vogliono che l’uomo operi liberamente a norma del giusto e dell’onesto: allora solo vi sarà proporzione fra i vari elementi della prosperità civile”. Saredo ribatte che la giustizia è la sola a poter garantire l’ordine economico; la morale, introdotta nella legislazione positiva, svia il corso e snatura il carattere della esplicazione della ricchezza. “Vi può essere libertà e giustizia senza morale: ma non morale senza giustizia e libertà”.
Saredo, nella lettera indirizzata a Minghetti del 25 maggio 1862, si definisce “solitario pensatore”, “straniero al mondo dei fatti”, privo di esperienze di cose pratiche; per questo segue “inflessibilmente la
logica”, a differenza di Minghetti che “pensatore e uomo di Stato nel tempo stesso, sente la necessità di temperare con la scienza dei fatti la scienza dei principi”.
 

Le posizioni di Minghetti e Saredo non sono del tutto allineate neppure in campo finanziario.

La libertà delle Banche è argomento della lettera del 4 luglio 1870 di Saredo a Minghetti.
Qui riemerge la diversità tra i due, infatti Saredo è sostenitore della libertà in tutto, anche nell’industria bancaria, perché crede che il trionfo del monopolio “sarebbe per l’Italia fonte d’infinite calamità, non solo economiche ma anche politiche e civili”.
Minghetti, non del tutto convinto della libertà bancaria è mosso invece da un motivo di equilibrio pratico.


GIUSEPPE SAREDO E AGOSTINO DE PRETIS
Nel marzo 1876 la Destra storica, che aveva governato quasi ininterrottamente dal 1860, perdette le elezioni e al governo di Marco Minghetti subentrò quello di Agostino De Pretis.
Per ottenere il consenso del parlamento e assicurare stabilità al governo De Pretis si manifestò estremamente disponibile verso gruppi influenti e singoli deputati di diverso orientamento politico, concedendo protezione e favori in cambio di voti.
Questa pratica, che prese il nome di “trasformismo”, consolidò la posizione del governo, permettendo l’approvazione di importanti riforme, quali l’abolizione della tassa sul macinato o la legge sull’istruzione elementare obbligatoria.
Tuttavia, annullando la distinzione fra schieramenti politici contrapposti, il parlamento perse il suo ruolo di indirizzo e di controllo dell’attività dell’esecutivo e si diffuse sempre più il “clientelismo politico”, cioè la tendenza a sovrapporre interessi personali e particolari a quelli generali della nazione.

 

 

Agostino De Pretis 1813-1887

 

Giuseppe Saredo e Agostino De Pretis si conobbero in gioventù a Torino e mantennero sempre rapporti di amicizia, come conferma quella parte della loro se pur frammentaria corrispondenza che è stato possibile ritrovare.
Quando De Pretis divenne capo del governo nel 1876 si avvalse spesso della collaborazione di Saredo, ad esempio nella stesura dei discorsi da tenere alla camera. Addirittura sembra che nel 1880 i due avessero trascorso una nottata in stretto colloquio studiano la situazione parlamentare e decidendo lo scioglimento della camera
(nota 1); il 2 maggio di quell’anno infatti si chiuse la XIII legislatura.

Saredo coinvolse De Pretis, durante il suo mandato di capo di governo, in un progetto di soluzione della  “questione  romana” che, oltrepassando le “guarentigie" (nota 2) offerte al pontefice dallo Stato Italiano nel 1871, mirasse a comporre su basi bilaterali l’annosa divergenza apertasi con la breccia di Porta Pia.
 

Il prof. Alessandro Corsi, giovane concittadino di Saredo, fu incaricato di preparare uno studio sulle condizioni della Santa Sede nei rapporti del diritto internazionale e del diritto pubblico italiano, esaminando “se quelle prerogative che sono accordate al papa dalla legge delle Guarentigie non costituiscano nel loro complesso una vera e propria sovranità territoriale, che lo abiliti ad esercitare nel Vaticano una sua propria giurisdizione" (nota 3).
Corsi evidenziò che l’articolo 1° della capitolazione di Roma, firmata a Villa Albani il 20 settembre 1870 dai generali Cadorna e Kanzler, consegna al re d’Italia tutta la città, “tranne la parte che è limitata a sud dai bastioni di S. Spirito e comprende il Monte Vaticano e Castel S. Angelo, e costituisce la città Leonina”.
Dato che nessun atto legislativo posteriore aveva ricusato valore a quella dichiarazione, se non in via unilaterale, lo studioso ne concluse che “il Vaticano non è la residenza di un principe spodestato che dimora nel Regno, ma la sede di un sovrano che, in modo perfettamente legittimo, fu spossessato di tutti i suoi territori ad eccezione di quel tratto dove appunto risiede”.

De Pretis fu soddisfatto dalle conclusioni di Alessandro Corsi, sulle quali meditò a lungo, e giunse, d’accordo con Saredo, a stabilire un programma d’azione. Le argomentazioni addotte da Corsi lasciavano sperare che la questione potesse risolvesi con pochi ritocchi delle guarentigie, ma contemporaneamente occorreva preparare il Vaticano e l’opinione pubblica…
Il governo avrebbe avviato una politica di favore verso le Missioni cattoliche all’estero, con un provvedimento che oltre a risultare gradito alla Santa Sede, avrebbe portato l’opinione pubblica a riconoscere che l’espansione spirituale del papato, “aiutata da leggi italiane, conveniva al nome italiano”.
Poco tempo dopo, però, De Pretis morì, il suo disegno fu messo a tacere e la parentesi conciliativa ben presto si chiuse.
 

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Nota 1) Si tratta di una testimonianza del canonico savonese Pietro Poggi, amico di famiglia di Saredo, riportata nel testo di Ambrogio Casaccia, Giuseppe Saredo, Savona, Ricci, 1932.

Nota 2) Con la cosiddetta “legge delle guarentigie” si determinò la condizione giuridica del pontefice e della Santa Sede a seguito dell’annessione del Lazio al Regno d’Italia. Pur dovendosi considerare estinto per debellatio lo Stato pontificio, furono conservate al Papa, per la sua alta dignità e per assicurargli l’esercizio del potere, le prerogative personali dei sovrani. La Santa Sede non accettò mai la legge, perché era stata emanata unilateralmente dallo Stato Italiano e i rapporti fra Chiesa e Stato rimasero interrotti fino ai Patti Lateranensi.

Nota 3) Lo studio di Corsi fu pubblicato nella rivista La legge e poi in un fascicolo a parte: A. Corsi, La situazione attuale della S. Sede nel diritto internazionale, Roma, Civelli, 1886.

 


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FONTI e LINKS di approfondimento

 

 

1.  GIUSEPPE SAREDO - BIOGRAFIA

2.  L'INSEGNAMENTO SCOLASTICO E UNIVERSITARIO
 

3.  IL CREDO POLITICO - SAREDO LIBERALE E MONARCHICO
 

4. TEORIE FILOSOFICHE E RELIGIONE

 

5. L'INFUENZA POLITICA E  LA QUESTIONE ROMANA

 

6. IL COMMISSARIAMENTO E L'INCHIESTA DI NAPOLI

 

7. SCHEDE DEI LICEI DI SAVONA

 

 

http://www.nuovadidattica.net/Creazioni/link.html
 

http://it.wikipedia.org/wiki/Quintino_Sella
 

http://it.wikipedia.org/wiki/Marco_Minghetti

 

http://it.wikipedia.org/wiki/Agostino_De Pretis


http://www.1911encyclopedia.org/Quintino_Sella

 

http://www.1911encyclopedia.org/Marco_Minghetti

 

http://www.1911encyclopedia.org/Agostino_De Pretis

 

 

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