Il presente capitolo illustra la grande
battaglia combattuta da Giuseppe Saredo contro il mal costume politico e la
camorra napoletana.
Dell'opera di Ambrogio Casaccia intitolata "Giuseppe Saredo" edita da
Stabilimento Tipografico Editoriale Ricci, Savona 1932
riportiamo
integralmente:
il
Capitolo X : L'Inchiesta di
Napoli
da pag. 201 a pag. 216
in Appendice :
Matilde Serao e l'Inchiesta di Napoli
Alla fine del capitolo decimo ci piace riportare un articolo
a cura di Enio Giorgianni intitolato "Storie nere della stampa -
Matilde Serao ed il Mattino" apparso sulla rivista "IDEA" nei numeri di
gennaio e febbraio 1986, con ampi riferimenti all'inchiesta di Napoli che
coinvolse anche
Matilde Serao
CAPITOLO X
L'INCHIESTA DI NAPOLI
LA GRANDE LOTTA
Eccoci finalmente all'inchiesta di Napoli, vera battaglia
compiuta dal nostro Saredo con tutte le forze della sua tenacia e della sua
onestà contro avversari gravemente colpevoli, ostili alla luce e pronti ad
usare subdole armi per far tacere la voce della giustizia.
Egli appare in quest'ultimo atto della sua vita, quando l'età sembrava
togliergli l'energia necessaria per sostenere la lotta più aspra e
insidiosa, che mai a lui si presentasse, fiero e inflessibile nemico d'ogni
pubblica corruzione.
Quanto più numerose e vigili erano le arti dei colpiti, tanto
più s' acuiva il suo senso di vigilanza, risorgevano le sue forze giovanili:
sapeva di lottare contro un gigante dalle cento braccia e dai cento occhi, ma si
era accinto all'ardua prova con una volontà ferma di vincere, fedele alla
consegna ricevuta, obbediente agli impulsi della propria coscienza. E lottò
finché le forze fisiche lo sorressero nella dura ed intera contesa, finché
la sua suscettibilità morale e la rettitudine dell'animo suo troppo spesso e
sanguinosamente offeso, poterono resistere alle mene continue ed disoneste
degli avversari.
I PRECEDENTI
già altre volte le amministrazioni comunali e provinciali di
Napoli e le dipendenti istituzioni di beneficenza avevano attirato
l'attenzione e provocato l'intervento della camera e del governo per gravi
irregolarità compiute e per sfacciati favoritismi.
Nel 1880 v' era stata un'inchiesta compiuta dal senatore Carlo
Astengo di Savona e nel 1888 una seconda veniva affidata dal Ministro degli
Interni al Comm. Alfonso Conti che segnalò mali maggiori, quali spese
arbitrarie, sussidi di malintesa beneficenza e procedimenti anormali in
tutti i rami dell'Amministrazione.
CARLO
ASTENGO nato a Savona il 8/02/1837
morto a Roma il 07/10/1917 fu nominato senatore il 25/10/1896 |
In seguito a questa seconda inchiesta si ordinò lo scioglimento del Comune
di Napoli e del Consiglio Provinciale che fu poi il rinnovato nel 1889.
Ma i severi provvedimenti adottati non valsero ad estirpare la
mala pianta, e perciò si rese necessario, nel 1891, l'invio di Saredo ad
assumere, quale R. Commissario Straordinario, la direzione del Comune di
Napoli.
Fu questa la prima volta che egli e andò nella città, che tanto amo, e cercò
di purificare, e si dimostrò l'amministratore intelligente e zelante,
riordinando tutti i servizi (2), pareggiando i bilanci, riducendo molti
stipendi ai dipendenti del comune, ordinando i concorsi per l'assegnazione
di posti di impieghi.
Ma dopo la sua partenza, riapparvero tosto le cricche sostenute
da deputati e da prefetti, si moltiplicarono gli intrighi e gli abusi,
sicché dopo un lungo periodo di tempo la corruzione a Napoli, in balia della
camorra, era tale da impensierire qualunque uomo di governo.
Come si giunse alla famosa seconda inchiesta?
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NOTE
1) L'Astengo notò irregolarità ovunque: la "camorra" agiva impunemente concedendo ad arbitrio appalti di lavori pubblici, favorendo con
distribuzione illegale di
denaro persone di dubbia moralità.
2) Le misure prese a riguardo delle scuole
possono vedersi nei "Provvedimenti di massima sulla Pubblica Istruzione del
Comune di Napoli" pubblicati allora dal Saredo. Tolse
molti abusi, ordinando
che i maestri e le maestre, che da più d'un anno non facevano scuola per
motivi di famiglia e quelli che da due anni stavano a casa per motivi di
salute si presentassero al servizio pena l' esecuzione delle disposizioni
legali.
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LA FAMOSA INCHIESTA
Dal volume “Potere Camorrista: quattro secoli di malanapoli”
di Gigi Di Fiore
Alfredo Guida Editore - Napoli 1993.
Cap. V - Il secolo dell’onorata
società
..........
§ Il potere fa ancora un fischio
(da pag.91 a pag 93)
Il Dio voto comincia a diventare
importante. Sono passati poco più di una ventina d'anni dall'unificazione e
il potere politico si è ormai spostato saldamente a Roma. Gli imprenditori
aspettano gli appalti che arrivano dalla capitale. E comincia la serie di
leggi eccezionali, con finanziamenti che danno ricchezza ad una massa di
speculatori, capaci di inserirsi nei giochi politici nazionali. Una delle
occasioni è la legge sul risanamento. Dopo l'epidemia del di colera del
1884, una campagna di stampa soffia sul dramma dei bassi e dei fondaci.
"Bisogna sventrare Napoli" dice il primo ministro Agostino Depretis. E il
giornale “La Discussione” spiega: "sventrare significa bonificare, abbattere
bassi quartieri, fogna perenne di infezione, slargare le vie, ricostruirle
con nuovi fabbricati, aprirle alle correnti d'aria pure e salubre".
Insomma bisogna fare arrivare soldi alle imprese che devono trasformare
radicalmente il vecchio centro storico. Siamo nel 1884 e la classe dominante
napoletana, ceto ormai di una ex capitale, in attesa di quei finanziamenti,
sa che i suoi guadagni dipendono dai deputati che siedono a Roma.
All'inizio si parla di 30 milioni.
Il completamento dell'acquedotto del Serino, con un nuovo sistema di fogne,
l'abbattimento di intere zone del centro con la creazione di un corso
principale, la radicale trasformazione Santa Lucia e del Vomero: sono i
programmi principali del piano. E’ il
sindaco
Nicola Amore, in poco tempo, a far elaborare un progetto
all'ingegnere Adolfo Gianbarba. Viene spedito al ministro delle Finanze
Stanislao Mancini. Il dibattito parlamentare dura tre giorni. È introdotto
da una relazione del deputato della destra, nonché direttore del giornale
"Il Piccolo", Rocco De Zerbi. E’ a lui che una commissione, creata dal
ministro degli interni Giovanni Nicotera, ha affidato l'incarico di
illustrare il piano in Parlamento. La legge passa con 259 voti. I contrari
sono 145. Il provvedimento, esecutivo dal 15 gennaio 1885, porta il numero
2892. Tutto viene delegato al Comune. Sarà l'ente locale a predisporre i
piani delle opere entro un mese. Poi le valutazioni del governo per il via.
I lavori, però, cominciano solo quattro anni dopo. La torta fa gola a molti:
132 milioni non arrivano ogni giorno a Napoli. Tutti in un colpo per
un'interminabile piano di opere pubbliche. È speculazione. La Banca Tiberina
ad esempio, con un vero e proprio colpo di mano, si assicura i terreni che,
al Vomero, dovranno ospitare un nuovo rione residenziale. Un affare.
In comune, è accordo tra moderati e
cattolici. Poi i contrasti e al sindaco
Nicola Amore succede Gerardo Brancaccio
Ruffano. È lui a bandire, nell'agosto 1888, la gara di appalto per quelle
opere che fanno gola. Vince la Società per il Risanamento di Napoli. Il
capitale è tutto esterno alla città: Credito Mobiliare di Firenze, Banca
generale di Roma, Banca subalpina di Torino, Immobiliare dei lavori di
utilità pubblica ed agricola di Roma, fratelli Marsiglia di Torino. Sono
lesti ad accaparrarsi la grande occasione.
Il comune ha 4000 dipendenti.
Troppi. Spesso assunti su segnalazioni e pressioni diverse. I nuovi
investimenti sono una golosa occasione. Le leggi speciali cominciano da
quegli anni, a mostrare il proprio volto: distribuiscono con la creazione di
situazioni eccezionali, di emergenze perenni, denaro pubblico. Che
arricchisce il più furbi. Nelle sue corrispondenze della "Rassegna
settimanale",
Giorgio Sydney Sonnino parla di
"camorra che ha esteso la sua influenza sulle assunzioni pubbliche, le
elezioni, la concessione di licenze e appalti".
Il caso di Gaetano Coppola è emblematico. E’ un malavitoso, non inserito
però in maniera organica nell'onorata società, del quartiere Sant'Antonio
Abate nel periodo borbonico, riesce ad accumulare 100 mila lire. Fa il
saponaro (raccoglie c'è roba vecchia e la rivende), ma arrotonda i ricavi
con qualche furto, estorsioni, contrabbando di divise militari, lotto
clandestino. La sua evoluzione sembra quella di un camorrista di un secolo
dopo. Con i soldi guadagnati si trasforma da camorrista a imprenditore.
Riesce anche attraverso la sua forza di intimidazione, a diventare
appaltatore di vestiario all'ospedale Incurabili. Si legge nel prospetto sul
personale degli Incurabili allegato ad una relazione amministrativa
sull'Albergo dei Poveri, che porta la data dell'agosto 1861: "Esiste una
camorra di Sant'Antonio Abate che va dai vertici molto corrotti
dell'Amministrazione (come impiegati, avvocati o appaltatori) agli
infermieri assunti tra i camorristi". Una camorra, alta e bassa, che si
intrufola negli uffici pubblici e favorisce gli "amici". L'attività di
Gaetano Coppola va avanti. Nel 1880 diventa anche impiegato del macello
comunale.
Un salto sociale: da piccolo camorrista di quartiere a impiegato. Un bel
traguardo, per quei tempi.
Qualche sospetto sull'esistenza di
queste discutibili realtà arriva anche a Roma. Il ministro Nicotera invita
prefetto e questore a verificare l'esistenza di brogli elettorali
soprattutto per la nomina dei consiglieri comunali.
Si vocifera di interferenze di strani personaggi, che iscrivono nelle liste
dei nuovi elettori persone morte, donne (che non hanno ancora diritto al
voto), minorenni, irreperibili e, addirittura, fanno votare più di una volta
amici sicuri.
È il periodo di
Ciccio Cappuccio. Scrive Ernesto Serao:
"La camorra di Montecalvario, per circa un quindicennio, si è vantata di
dare un deputato al Parlamento, come certe grandi università inglesi danno
il loro rappresentante alla Camera dei Comuni"
La lotta all'ultimo voto, in città,
è tra liberali e cattolici, divisi in correnti e gruppi di potere. Qualcosa
traballa già nel 1890. La giunta comunale decide due inchieste: una sulle
case economiche e l'altra sulle opere del Risanamento. Il risultato è il
blocco dei finanziamenti, per il progetto di sventramento arrivano solo 18
milioni e mezzo, che saliranno, in nove anni, a 43 milioni. Eppure, è
prevista una spesa per investimenti da 230 milioni. Il comune è in bolletta,
mentre aumentano i contrasti con la società Risanamento. E’ l'occasione che
Nicotera attende per mettere tutto nelle mani di un suo funzionario. Arriva
il commissario prefettizio Giuseppe Saredo. È confusione. A Napoli,
ma anche a Roma.
..........
§ Camorrista in guanti gialli
( da pag 97 a pag 103)
..........
Don Ciccio (Cappuccio) muore per un
colpo apoplettico. I primi sintomi arrivano nella sua bottega in piazza San
Ferdinando. Il capintesta ha appena cinquant'anni.....
Se n'è andato, dunque, il nuovo
camorrista. Quello che prende coscienza delle opportunità offerte dalla
"alta società", quella legale, che gli offre continui ammiccamenti.
L'onorata società è ancora strutturata
con le sue regole. Centralizzata, con dodici quartieri cittadini federati
tra loro. A Don Ciccio succede, per breve tempo, Giuseppe Chirico, che gira
armato di revolver e con un grosso mastino napoletano. Ma è il giovane
Enrico Alfano, detto Erricone, dopo un duello con Chirico, a diventare
capintesta. E’ questo lo scenario della camorra cittadina quando gli
scandali cominciano a riversarsi su Napoli.
Le commistioni camorra politica? Gli
appoggi elettorali e le connivenze al Comune? Da destra e da sinistra si
vuole capire. Ma sono anche gli anni della più grande migrazione verso
l'estero che l'Italia abbia mai conosciuto. Solo a Napoli gli emigranti
passano dai 3165 del 1876 ai 90.000 del 1906. Grande fuga. Dalla miseria .
Nel 1898 sembra di ritornare ai
tempi di Masaniello. La rabbia esplode per mancanza di pane. È troppo caro i
fornai non osservano il prezzo imposto dalla prefettura. Gli incidenti
partono dal quartiere Lavinaio. Deve intervenire l'esercito. La repressione
è violenta. A farne le spese sono i socialisti. Manca ancora qualche anno
alla scissione del 1921, quando da una costola del Psi nascerà il partito
comunista. In quegli anni le uniche opposizioni di sinistra sono i
socialisti. Viene sempre agitato lo spettro di una loro rivoluzione. E il 21
giugno 1898 proprio decine di militanti socialisti vengono colpiti dalla
repressione che segue la rivolta.
Il Tribunale impone il domicilio
coatto a
Walter Mocchi, Pietro Casini,
Napoleone Brambilla,
Enrico Leone. Ad
Arturo Labriola, che si dà alla latitanza, vengono
affibbiati cinque anni di reclusione e due di sorveglianza. La delusione dei
socialisti è tanta. Non riescono a capire perché la gente non li ha seguiti
nella protesta. Ecco, sull'esperienza di quei giorni, l'amaro commento
proprio di Arturo Labriola: "La plebe è una razza a parte, fossile
cristallizzato nei secoli, rimasto alla condizione animalesca degli
angioini, sottoclasse negata per definizione ad ogni scatto rivoluzionario".
Sugli incidenti naturalmente, è
diversa l'interpretazione del questore che scrive al prefetto Casavola: "Le
recenti sentenze pronunziate dal tribunale e gli altri provvedimenti di
rigore, adottati dopo la proclamazione dello stato d'assedio, hanno fiaccato
e disorganizzato le forze dei partiti estremi locali, i quali, per mancanza
dei soliti caporioni, in parte in carcere in parte latitanti ed in parte
scossi dalle misure prese e dal timore di quelle più gravi, da cui
potrebbero essere colpiti, sono restati finora nell'incertezza la più
completa".
Due mesi dopo, diventa sindaco il
liberale
Celestino Summonte. È già chiacchierato. In molti lo accusano di
legami con gli appaltatori dei servizi pubblici di trasporto. Cosa farà,
quando dovrà decidere a chi affidare quei servizi?
In Parlamento, il deputato della sinistra Giacomo De Martino chiede, per
quelle voci, un'inchiesta sulla camorra napoletana. Dice: "Nell'alto si
formano gli appalti, i contratti, le concessioni pubbliche: su di esse
arricchiscono i pezzi grossi ma a quegli appalti, a quei contratti, a quelle
concessioni partecipa man mano la bassa camorra che è loro assoldata".
È mentre Summonte, per smentire
quelle accuse fa subito pubblicare un librettino con i bilanci e i problemi
del Comune, De Martino rincara la dose. Parla di "contratti scandalosi per
le opere pubbliche e per i pubblici servizi". Accusa anche il principale
quotidiano della città, "Il Mattino", e di suoi fondatori
Eduardo Scarfoglio e
Matilde Serao, di connivenze con il gruppo di potere
cittadino. Dice il deputato: "Io ritengo che la triade, formata da Summonte,
il deputato Casale e Scarfoglio, abbiano retto, o si siano altrimenti
intromessi nelle cose pubbliche di Napoli con scopi personali e con fini
illeciti... In tutti questi affari aveva larga partecipazione il pubblicista
Scarfoglio, il cui giornale non fruttava sicuramente tanto da permettergli e
dargli i mezzi per condurre vita dispendiossima".
A Napoli, ormai i socialisti
prendono coraggio. Il candidato socialista
Ettore Ciccotti viene eletto
deputato alla Vicaria. Comincia una dura battaglia a colpi di accuse.
Il bersaglio è il deputato moderato
Alberto Casale, consigliere
provinciale collegato all'amministrazione di Summonte. Nel 1899 viene
fondato il battagliero settimanale socialista "Propaganda", diretto da
Arnaldo Lucci. Denunce e accuse a raffica. Sospetti su connivenze,
favoritismi, guidati dal duo Summonte-Casale. Si legge su quel giornale:
"Onorevole Casale, qual'è la vostra professione? Quali sono le vostre
rendite? Da dove ricavate le risorse per vivere?” Ancora sospetti. Casale
querela il giornale.
Ricorda Arturo Labriola, tra gli artefici di quella campagna di stampa: “Si
determinò di venire all'assalto definitivo, pubblicando un articolo assai
vibrato in cui gli si addebitava di trattare, per mezzo di un suo
segretario, le concessioni di impieghi, di appalti, di onorificenze, d’
ingerirsi in tutte le amministrazioni, esercitando la sua missione in modo
tutto suo particolare ed a scopo personale".
Scrive sullo stesso settimanale
socialista, Walter Mocchi: "abituati dal regime assoluto a considerare la
burocrazia, non come serva del pubblico, ma come padrona, a considerare la
ricerca di una fede di nascita, di un certificato di buona condotta, di
un’esenzione, non come un servizio cui si ha diritto per la qualità di
cittadino, ma come un favore che bisogna impetrare e mercanteggiare; a
considerare ogni imposta ogni contributo personale non come un dovere
imprescindibile, ma come una corvée di cui ci si può liberare, ungendo un
po' le ruote del macchinismo burocratico, i napoletani non hanno potuto
abbandonare la concezione, propria dei governi autocratici, che il deus ex
macchina del congegno pubblico sia l'intermediario, ed il motore la
corruzione. Per essi quindi, tutto il sistema rappresentativo si riduce alla
fabbricazione elettorale di intermediari che spicciano faccende private
presso i pubblici uffici, che rendono favori, ottengono onorificenze per gli
elettori influenti, fanno i sensali dei fornitori dello Stato, del Comune,
delle grandi società assuntrici e ne ricavano naturalmente beneficio".
Sembrano parole scritte oggi. E
portano la data di novant'anni fa. Con queste premesse, il processo per
diffamazione voluto da Casale diventa un'occasione. La prima per dimostrare
intrecci politica-affari-camorra. Il processo si trasforma in un atto di
accusa a Casale. I ruoli si capovolgono. Si legge ancora su “Propaganda":
“Bisogna dimostrare ai napoletani che la banda alta della camorra non è poi
invincibile.
Camorra nel Municipio, e camorra nella Provincia, e camorra nelle Opere Pie.
Denaro pubblico destinato a sollazzi privati, fortune improvvise nelle mani
di pezzenti di ieri, impunità ai ladri, ai pregiudicati, ai lenoni purchè
elettori fedeli di Tizio o di Caio. E più in alto deputati. Ad essi fanno
capo da un lato gli interessi più lucidi degli elettori corrotti e dei
criminali, e da essi partono legami con il potere centrale, che li appoggia.
Poiché una delle grandi vergogne di Napoli è proprio questa: il governo,
cioè, e per essi i prefetti di tutti tempi, meno qualche eccezione rara,
tengono bordone e lasciano andare, pur di avere con sé la rappresentanza
politica solidale in tutte le avventure, in tutti brigantaggi, in tutte le
vigliaccherie, in tutte le reazioni “.
Parole pesanti come macigni. Una
sferzata, che non passa inosservata anche a Roma. Il clima è maturo per
l'elezione parlamentare di socialisti come Ettore Ciccotti. Naturalmente, da
quelle accuse Alberto Casale esce con le ossa rotte. E si dimette da
deputato e da consigliere provinciale. Tre giorni dopo anche la giunta
comunale si dimette.
L'8 novembre del 1900 il governo nomina una commissione, presieduta dal
presidente del Consiglio di Stato, nonché senatore, Giuseppe Saredo.
È proprio la stessa persona che nel 1891, era stato commissario prefettizio
al Comune. Ha poteri ampi fino all'ottobre del 1901. Con lui,
Adolfo Lerio (procuratore generale della Corte dei Conti),
Antonio Rossi (direttore generale delle imposte dirette), il prefetto
Filippo Miscianisi e il consigliere di prefettura Achille Sinigaglia.
Ecco gli obiettivi della Commissione: "Procedere alla più ampia inchiesta su
tutti gli atti delle amministrazioni comunali di Napoli; potendo estendere
le indagini a tutte le manifestazioni della vita pubblica di Napoli e ai
rapporti dei privati cittadini con le pubbliche amministrazioni, inoltre con
la facoltà di procedere alle verifiche e richieste di documenti presso tutti
gli uffici governativi ed elettivi e a interrogatori di cittadini privati o
rivestiti di pubbliche funzioni".
Due volumi, oltre 1300 testimoni,
esaminati documenti diversi, come atti comunali o fascicoli della società
Risanamento. La relazione insiste sull'esasperato "senso individualistico"
dei napoletani. Ma mancano analisi sulle cause politiche ed economiche di
certe degenerazioni della società napoletana. Molte osservazioni in chiave
antropologica sono il frutto della penna del professor
Enrico Presutti. Dalla premessa, si passa alle denunce. Sì, le
migliori risorse cittadine hanno preso il volo. Per Roma, la nuova capitale.
E nell'ex capitale borbonica "il gioco delle clientele, la manipolazione
delle liste ed i brogli elettorali hanno favorito l'infiltrazione della
camorra nella vita politica ed amministrativa, attraverso le persone
interposte, i mediatori corrotti e corruttori che dispensano favori, posti e
licenze, perfino sentenze di compiacenti tribunali come graziose
concessioni, lautamente remunerate".
Un quadro terribile, che attira le
critiche del quotidiano "Il Mattino", diretto da Eduardo Scarfoglio. Unico
effetto giudiziario è un processo per concussione all'undicesima sezione
penale di Castelcapuano. Come accadrà spesso anche negli anni a seguire,
un'indagine partita per dimostrare accordi, connivenze, interessi comuni tra
camorristi, imprenditori e politici (come si dice in quegli anni dei
collegamenti tra bassa e alta camorra), si trasforma in un processo per
reati contro la pubblica amministrazione. Il fatto è che trovare prove certe
che portino a condanne penali per i rapporti politici-camorra è difficile. E
allora le accuse cambiano direzione. Vanno verso gli illeciti e gli abusi
commessi dagli amministratori pubblici nella loro attività. Meglio di
niente.
Il Tribunale è presieduto dal
cavaliere Dusio. Il Comune è parte civile. Imputati sono Summonte,
Casale e l'assessore alle opere pubbliche
Eduardo De Siena. Ma ci sono anche il segretario dell'onorevole
Casale (Vincenzo
D’ Amelio), quattro impiegati comunali, il segretario generale del
Comune (Michele D'Orlando), il direttore della compagnia del gas (Giovanni
Perouse), il direttore della società di
illuminazione (Vittorio
Krafft), il pubblico pensatore
Gabriele Gravina. Sono impegnati avvocati di grido:
Luigi Simeoni,
Luigi Maria Foschini, Vincenzo Marone,
Alfredo De Biase, Guido Coco, Giuseppe Laboccetta. C'è persino a
difendere l'assessore De Siena, il futuro primo presidente della Repubblica
Enrico De Nicola. Le accuse ?
Favoritismi negli appalti e nelle assunzioni. Ben 14 gli addebiti contestati
al Summonte; soffocazione di inchieste sugli impiegati, convenzioni siglate
per l'energia elettrica ed il servizio dei tram, abusi nel nuovo organico
amministrativo comunale, illeciti nella distribuzione dell'acqua potabile,
trattative private negli appalti, affitti di locali insalubri per le scuole,
aumento indiscriminato dei dipendenti per costi arrivati a 90 mila lire.
Alcune delle accuse.
Non gli è da meno Casale: attività per far diventare il Municipio luogo di
interessi personali ed elettorali, l'ingerenza illecita nella bonifica del
rione Santa Lucia, interventi per far approvare le convenzioni con la
società dei tram e la società del gas, raccomandazioni ed influenze per
assunzioni e promozioni.
E l'assessore De Siena? Viene accusato di abusi diversi: per la concessione
all'appaltatore Savarese, la concessione del Maschio angioino, le
liquidazioni all'appaltatore De Rosa per lavori in diverse strade di Napoli.
Il dibattimento inizia il 14 gennaio 1902 dura ben 19 mesi. Le condanne il 6
agosto 1903, sono severe: tre anni e un mese, centomila lire di multa, due
anni di interdizione dai pubblici uffici per Summonte e Casale. In appello
la sesta sezione presieduta dal commendatore
Ferone, con sostituto procuratore generale il cavaliere
Mercuro, conferma tutte le pene inflitte in primo grado. Restano
condannati 11 imputati. Solo il segretario generale viene assolto in secondo
grado. Nell'inchiesta giudiziaria iniziale è coinvolta anche Matilde Serao,
accusata di aver richiesto favori a Summonte. Ma la scrittrice viene
prosciolta e scansa il processo.
Il pubblico ministero è il conte
Lucchesi-Palli, magistrato impegnato anche nel successivo
procedimento Cuocolo, che diventerà il
vero "processo alla camorra napoletana" di quegli anni.
E i rapporti con la camorra? Solo
sospetti, voci. Nessun fatto accertato. L'inchiesta Saredo riesce a
rimestare solo la superficie. L'omertà regge, le commistioni anche. Facile
arrestare e mandare in carcere picciotti e giovinotti onorati. Più difficile
provare quello che tutti, in città sospettano: l'esistenza di favori e
appoggi elettorali concessi ai politici dal "potere camorrista".
........
Ma già da allora non si riesce mai ad arrivare a quella che viene chiamata,
con suggestive immagini, la "camorra in guanti gialli" o l'alta camorra.
Tanti sospetti, poche condanne per quelli che verranno definiti un secolo
dopo, "personaggi eccellenti", "il terzo livello della camorra".
........ |
La sua origine immediata deve ricercarsi nei sistemi poco retti che
l'Amministrazione Comunale eletta nel 1896, di cui erano magna pars il Di
Campolattaro, il Casale e il Summonte. L'origine vera e remota risiede
invece in quella serie di soprusi intimazioni e vergognosi favoritismi, nota
col nome di camorra e che allora, saldamente organizzata e
ramificata, esisteva in tutto il Mezzogiorno e particolarmente a Napoli.
Con uomini disposti a patteggiare colla camorra, può facilmente
immaginarsi come dovevano essere amministrati i beni del comune! Alla legge
ed alla giustizia si faceva prevalere l'arbitrio; all'interesse della
comunità, quello dei privati; al vantaggio dei cittadini, quello degli
elettori.
Appena si spargono le prime voci di irregolarità da parte degli
amministratori il Di Campolattaro, che era innocente, si affretta a
ritirarsi dalla vita pubblica, rassegnando le dimissioni da sindaco e da
consigliere. Lo sostituisce Summonte; ma le lamentele aumentano: le proteste
vengono raccolte dalla stampa e l' on. Colaianni si fa eco di esse presso le
autorità.
Intanto l' on. De Martino deputato costituzionale, venuto a conoscenza di
rilevazioni e di discussioni sui giornali democratici e socialisti di
Napoli, propone alla camera, anche a nome dei suoi colleghi, nella seduta
del 15 dicembre 1899, la nomina di una commissione d'inchiesta parlamentare
sulle condizioni sociali, politiche ed amministrative del napoletano e di
Palermo. Evidentissima appariva all'intenzione del proponente: colpire cioè
la mafia, vera piaga sociale, perfezionamento della prepotenza diretta a
ogni scopo di male, solidarietà brutale, che univa a danno dello Stato,
delle leggi e degli organismi regolari tutti quegli individui e quegli
strati sociali che amano trarre l'esistenza e gli agi non già dal lavoro ma
dall'inganno e dall'intimidazione. Benché la proposta dell'on. De Martino
venisse presa in considerazione tuttavia non ebbe alcun effetto immediato.
Non tardò molto però la scintilla provocatrice del vasto incendio!
Tra i vari giornali, che maggiormente lottavano contro
quel'intollerabile stato di cose, distinguevasi la "Propaganda", organo
socialista, che nel 1900 iniziò una serie di articoli aggressivi, che
colpivano apertamente i personaggi più rappresentativi delle varie
amministrazioni locali, in special modo di quella comunale. Naturalmente la
rovina di costoro avrebbe minato anche le posizioni di tutti gli altri. Il
più vulnerato fu il Casale, che si trovò costretto a sporgere querela al
giornale attaccante. Il processo che ebbe una grande eco in tutta l'Italia,
si svolse fra l'attenzione più viva dei napoletani e si chiuse con una
completa assoluzione della "Propaganda" e con la condanna del querelante
davanti all'opinione pubblica...(1)
Tre furono le principali conseguenze del processo: le dimissioni del Casale
da deputato al Parlamento e dal consigliere comunale e provinciale: lo
scioglimento dell'Amministrazione stessa: l'ordine di inchiesta sul Comune e
sulla Provincia di Napoli, impartito dall'onorevole Saracco, Presidente dei
Ministri.
______________________________
NOTE
1) Dalla Relazione d'Inchiesta
______________________________
L'INCARICO A SAREDO
A chi affidare un compito così vasto, intricato è
delicatissimo, che poteva essere facilmente intralciato in un ambiente tanto
corrotto e difficile, quanto quello di allora a Napoli?
Chi per integrità di carattere per coraggio per onestà poteva offrire sicure
garanzie, all'opinione pubblica? La scelta cadde su Saredo.
L'alta carica che egli ricopriva di Presidente del Consiglio di Stato, la
competenza indiscussa in materia amministrativa, la rettitudine del suo
carattere, la scrupolosità, a tutti nota, di funzionario integerrimo,
indussero il Capo del Governo, on. Saracco, a nominarlo l'8 novembre del
1900, Presidente della Commissione d'inchiesta.(1)
L'articolo I del decreto, che conferiva alla Commissione Reale poteri, le
coppie in legittimità non venne contestata da alcuno, diceva che essa era
stata costituita con l'incarico di procedere alla più ampia inchiesta su
tutti gli atti di dell'Amministrazione di Napoli, come quella che era
incorsa "in tutti i difetti e vizi delle amministrazioni precedenti".
Il compito della commissione risultava adunque ben definito e grande era
l'autorità, di cui veniva investito Saredo, che animato dalla speranza di
risanare l'ambiente partenopeo e spinto dall'amore per l'elevazione e il
benessere economico e morale dell'Italia Meridionale, partì tosto alla volta
di Napoli, per dedicarsi con l'entusiasmo dell'uomo onesto in quella
"mostruosa" fatica.
Del resto si sentiva sicuro alle spalle. A Roma sedeva al
potere Saracco, l'amico è l'alleato fedele contro la corruzione della vita
pubblica.
_________________________
NOTE
1) Giuseppe Saracco nativo di Aqui fu prima ministro con De Pretis e poi con
Crispi.
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L'IMMENSO LAVORO
La commissione si insediò a palazzo Ciccarelli. Il lavoro fu enorme.
Conoscendo egli bene quali fossero le disposizioni d'animo e le intenzioni
delle persone, che avrebbe dovuto giudicare, non tralasciò di prendere le
necessarie misure per evitare insidie, sottrazione di documenti e parare
tutte le oblique manovre, che certamente avrebbero usato i colpiti.
Perché nulla gli sfuggisse di ciò che riguardava l'inchiesta, leggeva ogni
giorno tutti i giornali, favorevoli o contrari all'opera sua, sorvegliava
attentamente i suoi collaboratori, dai quali doveva essere informato
minutamente d' ogni atto compiuto, sacrificava riposo e sonno per indagare e
interrogare; sicché la sua giornata era laboriosa quant'altre mai.
S'alzava alle cinque, alle sei era già al lavoro, che protraeva fino alle
24. E quella intensità di lavoro che richiedeva a se stesso, la esigeva dai
dipendenti, non concedendo loro, se non in rarissimi casi, riposi e licenze.
Basterà ricordare, per dare un'idea delle fatiche sostenute, che vennero
interrogate in pochissimi mesi oltre 1300 persone e che furono redatti
altrettanti verbali.
____________________________
NOTE
1) Queste notizie che corrispondono alla più esatta verità me le fornirono
il Grand Ufficiale Lorenzo Ratto e S. Ecc. Rossi, che cooperarono, a fianco
di Saredo, nell'inchiesta.
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I VARII UMORI
Ma ben presto,mentre da una parte alcuni deputati e senatori e
autorità fiancheggiavano con onestà l'opera della Commissione, non mancarono
altri, specialmente quando s'ebbe la sensazione che si agiva seriamente, che
cominciarono l'opera di sabotaggio, ricorrendo ad ogni mezzo, non escluso
quello di tentare di corrompere gli impiegati spingendoli a trafugare e
vendere documenti compromettenti.
L'inchiesta però proseguiva imperterrita, incutendo enorme spavento
nell'animo di chi doveva maggiormente subirla e taluni n'ebbero tale orrore
da squagliarsi dalla città del Vesuvio. Un deputato chiese rifugio alla
Grecia e lo stesso Summonte cercò più respirabili aure.
Scolpì magistralmente alcuni momenti psicologici di quel periodo il giornale
umoristico-satirico "Mons. Perrelli".
In una vignetta raffigurava Saredo, che dall'alto di uno scoglio
contemplava, fra l'irato e il soddisfatto, coloro che aveva gettato a mare:
e in un'altra vedevansi fuggire, all'apparire di Saredo i membri della
Provincia e del Comune ossessionati di orgasmo.
I socialisti che avevano accolta alla venuta del nuovo Commissario a Napoli
con molta diffidenza e molti dubbi sull'esito dell'opera sua, vedendo ora
che agiva con energia e con una serietà mai prima d'allora riscontrata, si
ricredettero e lo sostennero difendendolo con sincerità i vigoria.
Il giornale "La Propaganda" ad esempio, diceva che egli come un
rivoluzionario tutto sovvertiva e smascherava non risparmiando
ministri deputati e prefetti sostenitori delle cricche ed imbrogli.
Ed ai socialisti facevano coro i cattolici: la massa grigia dei liberali e
conservatori o nicchiava o tentava di minare l'inchiesta.
Più d'una volta Saredo ripeté ai suoi amici:(1) "i partiti che a Napoli
mi aiutano sono quelli cui non appartengo: il clericale ed il socialista".
Ma il 6 febbraio 1901 marcò un sostanziale mutamento nell'indirizzo e nella
portata dell'inchiesta.
A quello di Saracco succedeva il Ministero di Zanardelli con l'on. Giolitti
i agli interni.
I lavori - non certo per colpa di Saredo - non procedettero più con
quella celerità e con i buoni risultati di prima.
Saracco, legato da lunghissima data con forti vincoli di amicizia a Saredo
(vincoli che si erano rinsaldarti nei salotti di De Pretis che i due
frequentavano assiduamente) aveva una tempra di amministratore integerrimo,
forgiata sugli esempi di Mancini, Mamiani, Minghetti, Sella, Spaventa.
Concepiva la vita pubblica come una missione, non già come un campo da arare
e sfruttare.
Tra lui e Saredo, fedeli al detto di Pascal che una cosa non può essere "verité
au deça des Pyrenées, erreur au dela" esisteva un perfetto accordo sulla
nozione e pratica dell'onestà, virtù che volevano trionfante sia in pubblico
che in privato e non ammettevano che potesse considerarsi come virtù d'uso
domestico, da dimenticarsi quando a un cittadino venissero affidate cariche
pubbliche.(2)
Saracco, ispirato da questi elevati nobili sensi, appoggiava virilmente, con
lettere (3) e provvedimenti gli sforzi per la rigenerazione di Napoli.
Giolitti, carattere ben diverso e seguace di altri sistemi di governo
rallentò alquanto il rigore dell'impresa partenopea.
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NOTE
1) Me lo riferì Padre L. Del Buono
2) Dicessi che Saracco, lasciando alla Presidenza del Ministero, non solo
restituisse fino
all'ultimo centesimo i fondi segreti di cui non s'era
servito, per opere necessarie e
giuste,
ma consegnasse anche gli interessi
di essi, poiché aveva posto a fruttar per lo Stato gli
stessi fondi segreti.
A proposito della parsimonia dello stesso on. Saracco sarà nota ai lettori
la leggenda che
egli mentre trovavasi a Roma, con la carica di presidente
del Consiglio dei
Ministri fosse
frugalissimo nei suoi pasti e spesso li
facesse consistere in semplice frutta e pane
preferendo particolarmente noci
e nocciole.
3) Riporto alcuni passi d'una lettera, che dimostrano appieno quale
comunanza di intenti
legasse due uomini:
"faccio sicuro assegnamento sull'elevatezza di mente e sulla necessità di
procedere con
piedi di piombo, e come il suo amico son uso, specialmente
allora che si tratta di
una causa,
come questa, che deve incitare e a
serbare l'onestà e deve ispirare le deliberazioni degli
uomini, che sentono
la responsabilità degli atti propri ed hanno la
riputazione di una lunga
vita da custodire..." Saracco
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L'UOMO DI DRONERO
All'uomo di Dronero premeva parecchio non esasperare i deputati del
Mezzogiorno, alcuni dei quali erano caduti sotto le sanzioni dell'inchiesta
e a lui si rivolgevano come ancora di salvezza.
Egli contava moltissimo sui voti d'un gruppo di onorevoli meridionali alla
Camera.
Si dice che bastava - alla vigilia di una votazione al Parlamento - che egli
desse una telefonata alla prefettura di Napoli, per essere sicuro di avere
al domani a Roma una cinquantina di deputati pronti a votare per lui.
Intanto molti dei compromessi dall'inchiesta avevano preso ansa per reagire
contro di essa; deputati giolittiani, ex ministri ed ex sottosegretari che
prima masticavano amaro, ora biasimavano apertamente la severità del Saredo,
ed alcuni pezzi grossi già stati denunziati alla giustizia vedevano
sorridersi da speranza di lenta agonia e morte della denunzia.
Altro segno più evidente della crisi in cui versava l'inchiesta. Alcuni
dipendenti della commissione inquirente, assaliti dal timore che continuando
a dimostrarsi troppo zelanti, potevano incorrere nella disgrazia di
Giolitti, diminuirono la loro attività e intensità delle loro ricerche.
CATTIVA PIEGA
Ormai correva un nuovo periodo per l'inchiesta, periodo difficilissimo, irto
di insidie, di lotte fondate sulle calunnie e sulle minacce.
Più vivo si fece il contrasto tra il giudice e i rei, che addirittura
accusavano Saredo di calunnia. E perché?
Secondo la loro morale politica le irregolarità e le camorre scoperte nelle
loro amministrazioni non erano delitti, ma portati e frutti
del luogo. Egli avrebbe dovuto giudicare Napoli con criteri napoletani;
come Napoli ha il suo clima così ha il suo genere di onestà nella vita
pubblica.
In tal modo la pensavano i colpiti e i loro difensori. Saredo che voleva
estendere l'inchiesta anche alle Opere pie si trovò le mani legate.
Mutate le direttive ministeriali l'inchiesta s'avviava al fallimento.
Profondamente addolorato di ciò, incontrando un giorno, nella stazione di
Genova, il suo amicissimo Padre Scolopio L. Del Buono gli narrò le pene che
soffriva per le miserie di Napoli, ma soprattutto per vedersi intralciato
nell'opera di risanamento.(1)
Simile sfogo fece col suo concittadino canonico Poggi. Ripeto quasi
letteralmente il racconto che il Poggi ne fece a me: "Venuto per poche
ore Saredo a Savona, nel periodo più burrascoso dell'inchiesta, volle prima
di ripartire per Napoli salutare i familiari e gli amici come se non dovesse
più rivederli. E a me che gli chiesi: "perché ci saluti in tal modo?"
rispose "non sono mica sicuro che riponendo il piede in quella città
non vi trovi un esaltato o un sicario che mi tolga la vita"(2).
Che gli inciampi e le barriere, contro il libero andamento dell'Inchiesta,
originassero da Giolitti si sussurrava ormai dovunque; ed un giorno nei
corridoi del Senato se ne riprodusse un'eco clamorosa, che ebbe strascichi
sui giornali Roma e Gazzetta del Popolo: il primo in accusa e
il secondo in difesa dell'uomo di Dronero. Questi, anzi, intervenne
personalmente presso l'onorevole Saredo invitandolo a smentire che il
governo gli intralciasse il lavoro di Napoli. (3)
Saredo naturalmente, non smentì, ma continuò angustiato, sì, ma imperterrito
nella sua opera ad onta d'ogni ostruzionismo e minaccia, il che valse a far
applicare al suo coraggioso carattere ii noti versi:
"L' hiver n'a pas de glace.
l'été n'a pas de feu"
Intanto l'inchiesta affascinava sempre maggiormente l'attenzione non solo
del popolo napoletano, ma di tutta l'Italia, sicché può affermarsi che per
molti mesi nella penisola servisse d'argomento del giorno come quella che
non riguardava semplici individui, ma tutto un sistema da indagare, punire e
risanare.
Né mancò di interessarsi dell'importante questione anche la stampa
straniera, che elogiò Saredo chiamandolo "l'eroe del suo tempo"
contro la camorra, definita dal "Le Temps" la Tommany de Naples.
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NOTE
1) Notizie ha avuto dal padre L. Del Buono.
2) In una lettera alla march. Marieni il senatore Crispolti scrisse: "a
Napoli durante quell'inchiesta, le cui fatiche disgustose nocquero tanto
alla sua sanità (di Saredo), era
costretto a impostare le sue lettere da sé,
e in buste non intestate per il gran spionaggio, che da vicino e da lontano
si esercitava contro di lui".
3) Su questa mossa di Giolitti esiste un importante documento presso i
Marchesi Marieni.
___________________________
I RISULTATI
In tale ambiente guasto e insidioso, circondata da vive simpatie (1) e da
odi implacabili procedette l'opera della Commissione, che il 1 ottobre del
1901 poté presentare la Relazione dell'esito dell'inchiesta, contenuta in
due grossi volumi di ben 1904 pagine, testimonianza di un lavoro gigantesco,
compiuto in un periodo di tempo proporzionatamente breve e con una serietà
di propositi e una tenacia non molto frequenti negli usi della vita pubblica
italiana.
A dare un'idea dei risultati dell'inchiesta, elenco alcuni dei
principali abusi, irregolarità e ingiustizie denunziate da essa: spese
sproporzionate al numero e lavoro di impiegati; impegni creati non per
necessità amministrativa, ma per formare una posizione a persone, che
avevano resi servigi ai capi delle cricche:; aumenti di stipendio
ingiustificati, fatti probabilmente per compensare galoppini elettorali;
nomine illegali; assegni arbitrari i punti, sbalzi abusivi delle promozioni
e avanzamenti nelle cari cariche; individui assunti all'impiego per
raccomandazioni di grandi elettori; persone che coprivano contemporaneamente
due posti con due stipendi distinti; pensioni di favore, in relazione ai
precedenti politici dell'individuo; sciupo di denaro pubblico, d'altra gente
malfamata; in qualche ospedale il numero degli impiegati superavano
normalmente quello dei degenti; provveditori che vendevano a maggior prezzo
alla provincia che non ai privati; favoritismi ad altri elettori; impiegati
degni di punizione premiati; sorveglianti alla provincia che erano nel
medesimo tempo appaltatori di essa; strade private costruite col denaro
pubblico; pagamento di lavori non fatti non ordinati; deputati provinciali
che volevano la notte somme di denaro per appoggiare lavori le pratiche. (2)
L'elenco potrebbe continuare per molte pagine; ma credo che le
irregolarità suddette siano più che sufficienti ad offrirci un quadro dello
stato poco edificante in cui trovavasi la bella Napoli.
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Note
1) Durante l'inchiesta pervennero a Saredo
numerosissime lettere da parte d'ogni classe di cittadini, rallegrantisi con
lui per l'opera sua ed incitandolo a perseverare nel
cammino intrapreso con tanta energia.
2) Qualche amministratore per approvare e fare
approvare deliberazioni intascò L. 20.000.
____________________________
GIUDIZI SULL'INCHIESTA
Come fu accolta la pubblicazione dell'inchiesta? Sui giornali e
sulle riviste si moltiplicarono tosto le prime impressione o di malumore o
di contentezza, certo i giornali ufficiosi giolittiani, coerenti all'azione
sabotatrice e denigratrice, svolta durante l'inchiesta, espressero il loro
malumore e corsero ai ripari, per proteggere le presunte vittime, cercando
di rendere nullo o quasi l'esito delle pazienti e scrupolose indagini di
Saredo.
A mano a mano le pubblicazioni s'accumularono sì, da formare
vera biblioteca sulla scottante questione.
Alcuni giudicarono l'operato di Saredo come la liberazione delle pubbliche
amministrazioni dalle frodi e dalle ingiustizie, e credettero che la "camorra"
avesse ricevuto un colpo mortale; altri, pur ritenendo buona e simpatica la
lotta del Saredo contro le camarille e gli abusi, lo definirono un
poeta, un idealista, un sognatore di giustizie irrealizzabili, dimostrando
di non aver compreso l'alto senso di civismo che aveva guidato il savonese
nella sua crociata.
Finalmente, il gruppo dei colpiti considerò il giudice come un esagerato
puritano e l'opera sua come quella di un inquisitore spietato e implacabile.
Intanto si svolgevano i processi contro denunziati, che favoriti dalla
protezione di alti papaveri e dalle mosse occulte dei loro alleati
riuscirono a sfuggire alle sanzioni della giustizia, ricevendo o assoluzioni
o condanne irrisorie.
I sentimenti più opposti, le passioni più diverse
s'alimentavano nelle aule del tribunale, dove la dea Temi con grande disagio
e spesso invano muoveva la sua spada.
Per comprendere gli stati d'animo di coloro che o colpevoli o
spettatori affollavano le sale dei tribunali, basterà ricordare l'effetto
prodotto dalla notizia della morte di Saredo sparsasi durante una seduta.
Sui volti dei presenti improvvisamente si impressero i segni più
contrastanti; di rincrescimento e dolore, da una parte, per la scomparsa del
difensore dell'onestà nelle pubbliche amministrazioni, dall'altra di mal
repressa gioia per la sparizione d'un uomo che aveva scoperto ed additato
alla pubblica indignazione tante miserie e vergogne.
Se molti
onesti si dolsero dalla leggerezza della facilità, con cui venivano assolti
i colpevoli o delle lievi condanne loro inflitte, certo nessuno più di
Saredo n'ebbe l'animo ferito ed angustiato; e non si esagerò quando si disse
aver l'inchiesta minata la di lui vita, non tanto per l'enorme fatica
sostenuta in un lavoro lungo, difficile e pesante, quanto per il dolore
provato nel vedere l'opera sua svanire tra l'indifferenza e talvolta la
gioia di chi avrebbe dovuto, per l'alta responsabilità della carica che
occupava, proteggerlo e affiancarlo.
Ora trent'anni ci separano dall'inchiesta e possiamo, non
turbati da preconcetti politici nè da simpatie ingiustificate, esaminare con
serietà se Saredo abbia commesso errori o sia caduto in colpe o se si sia
lasciato guidare da una severità eccessiva. (1)
Il giudizio
nostro, cosa che avviene raramente nella critica dei fatti storici, non si
scosta dalla sostanza da quello dei contemporanei; e perché questa
affermazione non appaia infondata, riporto tre giudizi, i quali, benché
scelti in campi politici ben diversi, concordano nel riconoscere la figura
di Saredo come quella d'un fiero difensore delle virtù civiche, un eroe
dell'onestà e della giustizia, ed un patrocinatore cosciente della moralità
delle pubbliche amministrazioni.
Il principale organo del partito socialista l' "Avanti"
pubblicava alla morte di Saredo un articolo dell' on. Lucci, intonato al più
incondizionato encomio di Saredo scrivendo ad un certo punto queste parole:
"Oggi Egli sparisce dalla scena della vita fra il tripudio dei vecchi e
dei nuovi bollati, fra la timida e mal dissimulata contentezza di ministri e
uomini politici pentiti di aver messo in movimento una terribile macchina".
Il "Caffaro" giornale liberale esprimeva simili concetti,
aggiungendo che Saredo durante l'inchiesta aveva commesso forse qualche
errore, ma che tutti dovevano riconoscere il suo grande amore per Napoli e
per la giustizia.
Ma il miglior giudizio, di cui mi servo come sintesi e come
conclusione di questo capitolo, scrisse il cattolico marchese Crispolti: "Poteva
egli aver errato in qualche particolare della mostruosa fatica, di cui fu
eroe e vittima; ma la sua inchiesta rimane monumento d'una volontà
inflessibile in favore della giustizia, d'una volontà che vince tutte le
insidie supera tutti gli ostacoli. I malfattori in guanti gialli lo avevano
fatto segno alle pubbliche vendette, il governo lo aveva lasciato senza
appoggio; perfino le più alte sfere, che da principio lo avevano favorito,
ora guardavano con indifferenza, non simpatica, la terribile opera sua...
Tutte le inimicizie coperte o scoperte si erano date convegno intorno a
quest'uomo appena aveva mostrato che egli diceva (e faceva) per davvero; e
quest'uomo aveva perseverato nell'ufficio con una vigoria e una tenacia
nuovissima nei politici italiani".
______________________
Note
1)Alcuni mossero rimprovero al Saredo di aver colpito per la sua rigidezza
anche persone innocenti.
Ad esempio il Cavasola, che per
molto tempo visse a Napoli come consigliere delegato di prefettura e poi
come prefetto (durante l'ultima guerra fu ministro di agricoltura)
vedeva la situazione di quella città in modo diverso da Saredo, il quale
sarebbe stato eccessivamente severo nel giudicare troppi come colpevoli.
Sempre secondo il Cavasola, v'eran
si i capi della camorra, ma molti non erano camorristi, benché costretti a
trattare con loro per riuscire ad esempio, deputati.
Ma poteva Saredo, che voleva
purificare dalle radici l'ambiente, risparmiare queste persone?
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MATILDE SERAO E L'INCHIESTA DI NAPOLI
Dalla rivista "IDEA" (numeri di gennaio e febbraio 1986)
un articolo
a cura di Enio Giorgianni intitolato "Storie nere della stampa -
Matilde Serao ed il Mattino"
PAG. 1
PAG. 2
PAG.3
PAG.4
PAG.5
PAG.6
PAG.7
PAG.8
PAG.9
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FONTI e LINKS di approfondimento
1. GIUSEPPE
SAREDO - BIOGRAFIA
2.
L'INSEGNAMENTO SCOLASTICO E UNIVERSITARIO
3. IL
CREDO POLITICO
- SAREDO LIBERALE E MONARCHICO
4. TEORIE
FILOSOFICHE E RELIGIONE
5. L'INFUENZA POLITICA E LA QUESTIONE ROMANA
6. IL COMMISSARIAMENTO E L'INCHIESTA DI NAPOLI
7. SCHEDE DEI LICEI DI SAVONA
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