MARIENI SAREDO

Personaggi - Un poco di Storia - Curiosità - Fotografie

 

Il Casato dei Marieni | Il Casato dei Saredo | Carlo Marieni - Repubblicano | Capo Battaglione Col. Giuseppe Marieni | Giovanni Marieni - Cartografo
General Mayor Giacomo Marieni  | Luigi Marieni Medico Ricercatore | Generale Giovanni Battista Marieni  | Ambasciatore Alessandro Marieni Saredo

Sen. Giuseppe Saredo - Docente Universitario | Luisa Saredo - Storica e Scrittrice di Romanzi | Avvertenze Legali | Home Page | Vai a Fondo Pagina

 

 

 + Giuseppe Saredo Biografia

 

 + Scuola e Università

SENATORE GIUSEPPE SAREDO

 + Il Credo Politico

 

 + Filosofia e Religione

DOCENTE UNIVERSITARIO - GIURISTA - CONSIGLIERE DI STATO

 + Questione Romana

 

 + L'Inchiesta di Napoli

IL CREDO POLITICO - SAREDO LIBERALE E MONARCHICO

 + Schede dei Licei di Savona


Il presente capitolo illustra le teorie liberali contenute nei trattati di giurisprudenza di Giuseppe Saredo che furono oggetto dei corsi universitari da lui tenuti.
Dell'opera di Ambrogio Casaccia intitolata "Giuseppe Saredo" edita da Stabilimento Tipografico Editoriale Ricci, Savona 1932
riportiamo integralmente:

il Capitolo V:  Il Credo Politico 
da pag. 85 a pag. 121

 


CAPITOLO V

IL CREDO POLITICO
 

 

SEGUACE DELLA SCUOLA CLASSICA LIBERALE

La vastissima cultura di Giuseppe Saredo non s'estendeva soltanto alle materie giuridiche od a quelle sociali, amministrative e politiche, nel cui campo esplicò, in seguito, notevolissima parte delle sue preziose energie, ma abbracciava anche le scienze storiche e letterarie, come ne fanno fede i suoi scritti ed il voluminoso zibaldone, conservato ora religiosamente dalla march. Marieni.

In esso raccoglieva, come l'ape sceglie il nettare di fiore in fiore, le più belle frasi, pensieri e passi dei libri ed autori che leggeva, e dal quale sceglieva poi sentenze e brani da cospargere, sotto forma di citazioni e note, le sue opere.
 

Molte di queste sono anzi precedute da simili sentenze e brani, proprio come le prediche dei sacri oratori; ed uno di tali testi, quello posto da Saredo in capo al suo più antico e più completo trattato di politica generale, ci svela appunto, senza ambagi, quali fossero le idee e principi politici dell'autore.

Il testo è quello premesso all'opera intitolata «Principi di diritto costituzionale», e fu tolto dal discorso pronunziato da Cavour alla Camera dei deputati il 27 Marzo 1861, e suona così: «Noi crediamo che si debba introdurre il sistema della libertà in tutte le parti della società religiosa e civile; noi vogliamo la libertà economica ; noi vogliamo la libertà amministrativa ; noi vogliamo la piena ed assoluta libertà di coscienza; noi vogliamo tutte le libertà civili e politiche che sono compatibili col mantenimento dell'ordine pubblico».

 

Saredo fu seguace della scuola classica liberale e fu un individualista della marca più schietta.

Forse, come lascia intravvedere il comm. Vittorio Poggi nel suo studio: «Una poesia giovanile di Anton Giulio Barrili», (1) attinse i primi germi di tali dottrine al tempo che frequentò il ginnasio a Savona. Ma lo sviluppo e l'affermazione pubblica di esse avvenne in Torino. In quella Torino, che nel 1848 e per alcuni lustri successivi, erasi trasformata in asilo di quanti agognavano libertà e rivendicazioni d'ogni sorta; in centro propulsore di tutte le aspirazioni all'emancipazione delle menti, delle volontà, delle persone, delle nazioni e dei popoli; e in focolare dell'unità e indipendenza italiana.

A Torino, infatti, il nostro ex allievo dei Padri Scolopi aveva contratto - attraverso i colleghi del Fischietto, delle Riviste e dei giornali - amicizie e
  relazioni cogli esponenti più autorevoli del liberalismo nostrano, quali Cavour, Mamiani, Minghetti, Brofferio, Mercantini, Ferrara e Rattazzi, ed aveva conosciuto le opere dei maestri della nuova scuola sia nazionali che stranieri, i quali non facevano che sminuzzare ed ammanire, ciascuno, secondo i propri gusti, le teorie della rivoluzione francese ed estendere ad ogni paese le istituzioni da essa emanate.

_________________
NOTE
1) Vedi la nota n. 2 a pag. 7 di questo libro.

_________________


 

ALL'ALA DESTRA
 

Nette tracce ed aperte professioni di liberalismo Saredo profuse in quasi tutti i suoi scritti, dai primi articoli di giornale pubblicati a Torino, alle opere voluminose e monografie e studi che diede alla luce fino agli ultimi tempi di sua vita.
Ma i libri cui, a parer mio, affidò in modo speciale la sua professione politica sono: la storia di Marco Minghetti, il Trattato di diritto civile italiano e sopratutto i Principi di diritto costituzionale.
Alla stessa maniera che rassomiglia, al suo concittadino Pietro Sbarbaro, per l'impetuosità del carattere (1) e per la terribile mordacità contro gli avversari, senza però scendere come quello a forme troppo volgari, così gli rassomigliò per l'arditezza di molte opinioni, per l'esagerato sistema di individualismo che propugnava e per l'atteggiamento di libero pensatore, senza però che toccasse tutti gli eccessi cui il genio di Sbarbaro arrivò.

Sebbene fosse un liberale e individualista fervidissimo, Saredo ebbe tuttavia sempre tendenze di destra.
Nel 1856, nel volumetto su «La Margarita» dice:«a noi tanto teneri d'una libertà temperata quanto nemici delle democratiche licenze, (siamo) avversi al despotismo del trono come a quello della piazza». Nell'articolo del Caffaro, già più volte citato, il Giarelli conferma che, anche a Parma, Saredo militò nell'ala liberale di destra; e verso destra marciò sempre di anno in anno, pure al tempo delle sue strette relazioni con Agostino Depretis, che era uno dei capi più rappresentativi della sinistra, non cristallizzandosi nelle primitive concezioni dottrinali, ma modificandole e temperandole a 
mano a mano che lo studio, l'esperienza e le mutevoli circostanze gli suggerivano, e rinunziando nel frattempo a non     
                Pietro Sbarbaro           poche che ora, come vedremo, apparirebbero strane e quasi anarcoidi.

Altro particolare degno di grande rilievo è che avendo vissuto in periodi, in cui dominavano le sette segrete ed era divenuta quasi condizione indispensabile ad ogni carriera amministrativa e politica l'affiliarsi ad esse, ed avendo camminato quasi sempre a contatto di uomini legati mani e piedi alla Massoneria, egli volle e seppe mantenersi ognora libero da qualsiasi nodo settario. Ma di ciò si dirà più diffusamente nel capitolo, ove si tratterà delle idee religiose del nostro personaggio.

Inoltriamoci, invece, adesso ad esaminare, in modo più particolareggiato ed ampio, qualcuno dei suoi capisaldi politici.

__________________
NOTE
1) In una nota manoscritta Saredo si domanda: «Qual'è il mio difetto principale?» e si risponde: Essere impetuoso.
_________________________

 


AUTONOMIA INDIVIDUALE


Esposti, quasi ad introduzione del suo piccolo volume su «Marco Minghetti», alcuni principi della scuola democratica (la socialista) e di quella amministrativa (la reazionaria) intorno ai rapporti fra l' individuo e lo stato, ne fa la critica affrettandosi a palesare di appartenere alla scuola opposta e di pensarla affatto diversamente.
 

«Lo stato - egli dice - per la scuola democratica e per quella amministrativa è il tutore naturale e permanente dell'individuo, il quale per quanto progredisca non potrà mai emanciparsi... Per esse, ogni aumento di civiltà dovrà sempre portare un aumento di attribuzioni governative, un nuovo freno all'attività individuale». (1)

Secondo lui, invece, è l' individuo che deve collocarsi al di sopra di tutto e di tutti. Seguace della scuola liberale, che adora l' individuo, Saredo fa sue le parole di Guglielmo Humboldt: «che il gran principio d'ogni ordinamento sociale è l'importanza essenziale e assoluta dell’esplicamento umano in tutte le sue più ricche diversità». (2)

L’esplicamento umano, ossia lo sviluppo libero, senza intoppi esterni od interni, della personalità umana assurge per Saredo a fine dell'esistenza del cittadino sopra la terra; ed il diritto dell’uomo si concentra nella facoltà connaturale all'essere umano di dipendere unicamente da se nella direzione dei suoi pensieri ed atti.
 

Parlando di uomo, di essere umano, di individuo, Saredo intende, come è chiaro, parlare del cittadino, ossia dell’uomo in quanto ha rapporti coi suoi simili e non in quanto è una persona privata con operazioni, che incominciano e finiscono in lei e si svolgono indipendentemente dalla convivenza e dal concorso di altri uomini.(3) Ed a spiegar meglio il suo pensiero aggiunge: «A rigor di termini un uomo può essere sano od infermo, intelligente o instupidito, morale od immorale, senza che ciò riguardi chicchessia, senza essere colpevole come cittadino. La sua personalità fisica, intellettuale ed etica è affatto distinta dalla sua personalità giuridica».

Naturalmente, come tutti i liberali, fa distinzione e quasi un contrapposto fra imperativo etico e imperativo giuridico, assegnando l'osservanza di quello alla coscienza e la protezione di questo alle leggi ed alla giustizia sociale ed affermando che: «l'imperativo etico non ha nulla da fare con l'imperativo giuridico, come nè l'uno ne l'altro hanno da fare coll'imperativo religioso », perchè «sono cose differenti che agiscono e si svolgono in modo indipendente l'uno dall'altro». (4)
 

Errore fatale e fecondo di disastrose conseguenze, perchè separando sistematicamente l'idea morale e religiosa dallo spirito delle leggi, condusse ai deplorevoli inconvenienti degli stati atei, del laicismo nelle scuole e nei tribunali, alla graduale scomparsa del buon costume e dell'onestà nei commerci ed all'abbrutimento di innumerevoli individui, che il liberalismo pretendeva elevare !
 

Per Saredo invece, il self government, ossia il libero governo di se stesso o la piena autonomia individuale doveva essere «il fondamento di tutte le grandi cose», il toccasana per la rigenerazione e progresso della civile società.

«Quanto più l'uomo è autonomo — egli scrive — tanto più è civile»... «il progresso dell'individuo armonizza necessariamente con quello della società, di guisa che l'uno e l'altro sono ad un tempo causa ed effetto» e definisce la civiltà «la esplicazione dinamica e progressiva della libertà umana o, per dir meglio, dell'autonomia individuale». (5)
E confessa che fu per divulgare queste teorie che pubblicò l'opera «Principi di diritto costituzionale», (6) allo stesso modo che compose, per il medesimo scopo, gli opuscoli «L'uomo e la natura» e «Lo sviluppo della personalità umana».

______________________________
NOTE
1) Vedi Saredo : «Storia di Marco Minghetti» pagg. 4 e 5.
2) Vedi idem p. 5.

3) Vedi Saredo:
«Principi di diritto costituzionale» vol. I p. 62.

4) Vedi idem vol. I p. 80.
5) Vedi idem vol. I p. 113 e 114.
6) Vedi idem

_______________________________



PARITA' DI DIRITTI

Alla grande, smisurata libertà «di parlare, di pensare e di agire», di cui ogni uomo dovrebbe godere per il raggiungimento dello sviluppo della propria personalità, non pone che due freni: «L'attività di tutti gli uomini è libera e non ha che due limiti:
      1° Essa non deve ledere il diritto di chicchessia;
      2° Essa non deve rifiutarsi ai carichi necessari alla retta e ordinata convivenza civile
».

«Qualunque altro limite s'imponga è un'iniqua violazione dell'umana personalità, un'offesa alla libertà, una diminuzione della responsabilità individuale e per conseguenza un fonte di ingiustizia e di perturbamento sociale. Adunque libertà di coscienza, libertà di lavoro, libertà di stampa, libertà d'insegnamento e tutte le altre libertà sono conseguenze inevitabili dell'autonomia individuale. Quando io professo una religione, quando lavoro, stampo o insegno io non ledo la libertà di chicchessia, dunque non dovete ledere la mia». (1)
 

E' vero, la libertà di coscienza, di lavoro, di insegnamento e di stampa non lede le libertà degli altri! Ma chi riesce a calcolare l'infinità di altri danni che ad essi può cagionare? E fu il gran torto del liberalismo non aver voluto o saputo tener conto di ciò!
 

Proclamando l'assoluto diritto dell'individuo all'esplicazione della propria personalità, Saredo estendeva il suo pensiero a tutti gli esseri umani non solo a qualunque età o classe appartenessero, ma anche a qualunque sesso.

_____________________
NOTE
1) Vedi Saredo: « Marco Minghetti» p. 6 e 7.

____________________



.....ANCHE ALLE DONNE


Sì, egli pensava anche alle donne, alle quali fin dal 1862 augurava il riconoscimento d'una condizione giuridica non inferiore, ma uguale a quella degli uomini. (1)

«La donna - diceva egli - non cesserò mai di ripeterlo, è un essere intelligente, morale, libero e responsabile: essa ha la sua personalità distinta ed autonoma...» dal che deduce che ha doveri e diritti pari agli uomini e ne chiede il riconoscimento legale. (2)
 

Non rinvenni alcuna pagina in cui egli asserisca (come logicamente dovrebbe dedursi dai suoi principi) di volere anche per la donna la libertà di pensiero, di parola, di coscienza, ecc. Non gli parve forse troppo desiderabile per il bene civile!
S'intrattiene invece a lungo a dimostrare il diritto delle donne al voto amministrativo e politico, riportando e facendo suoi i molti e belli argomenti di Stuart Mill su tale materia, invitando i legislatori ad essere logici e giusti, perchè se riconoscono che la donna è ragionevole e libera, quando la considerano nei rapporti del Codice penale e perchè tale la condannano se commette reati, devono riconoscerle la facoltà di ragionare e l'esercizio della libertà anche nei riguardi del Codice civile, amministrativo e politico, concedendole tutti i diritti sanciti in favore degli esseri liberi e ragionevoli. (3)

Tra i banditori dell’individualismo filosofico e politico Saredo non fu certo dei meno accesi e zelanti. Ha volumi che lo propagano ad ogni capitolo, per non dire ad ogni riga.

E l'opera, in cui raccolse le lezioni tenute a Sassari, può chiamarsi il «Trattato dell’esaltazione dell'individuo» oppure il «Codice delle benemerenze, prerogative e diritti individuali», come il cortese lettore avrà egli pure osservato scorrendo le molteplici citazioni che trassi da essa (Principi di diritto costituzionale): e se ne convincerà ancor più dagli altri richiami che di essa farò, a cominciare dal paragrafo seguente, in cui si vedrà quale fu il pensiero di Saredo sulle relazioni fra l'individuo e lo Stato.

________________________
NOTE
1) Saredo: «Principi di diritto costituzionale» vol. III p. 41.
2) Vedi idem vol. III p. 41
3) Vedi idem vol. II p. 146.

________________________



STATO E INDIVIDUO

Dai due periodi qui appresso riferiti si palesa immantinente il giudizio di Saredo sulle relazioni fra lo Stato e l'individuo: egli poneva questo al disopra dello Stato.

«I grandi concetti e le grandi imprese sono sempre opera degli individui, mai delle moltitudini; essi soli le iniziano...Citatemi un solo esempio, un solo, di una grande idea che sia sorta dalla moltitudine, che sia dovuta allo Stato!».(1)

Ed alla stessa pagina osserva che se si da uno sguardo alla storia si vede: «che non il Comune, ma l'individuo è filosofo e legislatore; non la nazione, ma l'individuo combatte, trionfa o soccombe nelle battaglie del pensiero e in quelle della libertà».


La visione, concepita dal nostro autore, del cittadino destinato a salire incessantemente, senza freni, l'ascesa del proprio sviluppo fisico, razionale e morale costituisce, per lui, il fine predominante e più alto della vita sociale ; e primo dovere dello Stato è di aiutare l'individuo a toccare tale meta. «Non è già l'individuo che è indirizzato al benessere dello Stato; è lo Stato che è indirizzato al benessere dell'individuo: lo Stato è il mezzo, il cittadino è il fine».(2)
 

In pagine veementi stimmatizza le dottrine socialiste ed assolutiste che abbassano ed annientano l'individuo, riducendolo ad uno strumento e schiavo da sacrificarsi allo Stato, (3) tarpandogli le ali, privandolo della responsabilità e libera iniziativa.
Lo Stato non è il padrone, ma il servo dell'individuo, come egli pensava; e nel 1869 scriveva: «il governo è il mandatario dei cittadini... ; chi sta a capo della cosa pubblica è il servitore della Nazione».(4)
 

Allo Stato, quali principali ed imprescindibili doveri, assegnava:
 1° far regnare la giustizia nei rapporti sociali;
 2° guarentire a ciascuno l'esercizio dei suoi diritti;
 3° provvedere alla sicurezza interna ed esterna;
 4° togliere gli ostacoli che si oppongono al legittimo sviluppo dell'attività individuale.(5)

Stabilito che lo Stato, per far trionfare la giustizia, si serve delle leggi positive, le quali devono conformarsi a quelle naturali e sono tanto più buone quanto più vi si conformano,(6) affermava che esso ha pure il dovere di impedire, anche colla forza, la violazione della giustizia fra i cittadini, poiché se tutti hanno diritto alla propria libertà, nessuno di essi ha diritto di attentare a quella degli altri; «la libertà degli, uni deve coesistere con quella degli altri, e l' una determina i confini dell'altra, oltrepassati i quali cessa di essere libertà e degenera in licenza».(7)
 

Ma all'infuori di tal legittimo potere di costrizione e di quello di obbligare i cittadini ai contributi delle imposte e del servizio militare, necessari alla sicurezza interna ed esterna della Nazione, egli non consentiva allo Stato alcuna altra ingerenza nella vita degli individui o nell'esercizio delle loro libertà, fosse sotto forma di tutela che di assorbimento, come voleva specialmente la teoria socialista.

«La tutela per l'individuo - dice Saredo - è argomento di puerizia, di demenza e di idiotismo» (8) ed altrove: «ogni qualvolta lo Stato ha assorbito la persona... sempre ha conculcato la giustizia, insultato il genio, quasi per punirlo di volersi sollevare».(9)

_______________________
NOTE
1) Saredo: «Principi di diritto costituzionale» vol. I p. 201.

2) Vedi idem vol. I p. 202.
3) Vedi idem vol. I lezione IX.

4) Saredo: «Trattato di diritto civile italiano» p. 2.

5) Vedi idem p. 2.

6) Vedi idem p. 5.

7) Vedi idem p. 5.

8) Saredo: «Principi di diritto costituzionale» vol. I p. 115.
9) Vedi idem vol. I p. 201

_______________________



SPESE PUBBLICHE

E come voleva che lo Stato fosse custode geloso e ossequente dei diritti dei cittadini, così voleva che fosse amministratore scrupoloso e sapiente del denaro pubblico, il quale essendo raggranellato dalle borse di tutti doveva spendersi a beneficio di tutti.

In quest'argomento fu meticoloso, eccessivo.

Distingue le spese che può fare lo Stato in necessarie, inutili e inique (1) ammettendo che esso ha piena e legittima facoltà di contrarre quelle necessarie perchè «sono quelle che rispondono alle attribuzioni necessarie del potere sociale: le spese di pubblica amministrazione; quelle destinate al servizio degli interessi del debito pubblico e al rimborso quand'è possibile; quelle destinate a pagare gli agenti civili e militari che provvedono al retto ordinamento del civile consorzio: legislatori, ministri, giudici, ufficiali del potere esecutivo e via discorrendo».(2)
 

Non ammettendo invece che lo Stato adoperi il pubblico erario in spese inutili e peggio inique, che ledono i diritti dei cittadini, sconvolgendo la giustizia ed esercitando pessima influenza sulla coscienza nazionale, non condannava soltanto gli sperperi dei fondi segreti, commessi da ministri per farsi la propria reclame o per compiacere brame personali o per soddisfare motivi privati, ma riprovava le spese per feste pubbliche, per sovvenzionare teatri, accademie, musei, biblioteche, borse di studio ecc.; e la ragione che adduce è che lo Stato non deve prendere i denari agli uni per darli agli altri o usare i denari di tutti a favore di pochi; non deve fare della beneficenza o dell'arte ma della giustizia. (3)
 

Per non citare che un punto, ecco che cosa diceva a proposito delle belle arti: «Un individuo viene a voi e vi vuota la borsa; ai vostri reclami egli risponde che il denaro che egli ha esatto da voi sarà da lui impiegato a incoraggiare le belle arti; cioè a comprar statue, tener aperti musei, creare monumenti, salariare pittori e scultori, pagar ballerine e tenori.  Voi replicate naturalmente che la sua è un'azione iniqua: che se vi piacerà di pagar pittori o ballerine, siete padrone di farlo voi stesso e... che voi solo siete arbitro di decidere dell'uso che farete del vostro denaro...».

«Or bene, invece di un individuo privato, che vi toglie il denaro, mettete l'esattore governativo o comunale, forsechè queste ragioni perdono la loro forza?... Se l'esattore mi chiede denaro per retribuire i servigi veri e reali che mi rende il Governo ed il Comune,... lo pago volentieri... Ma se si tratta di pagare dei trilli, delle capriole o dei colori, questo è un affar mio: e io lo farò, se mi converrà,... meglio del Comune e del Governo. Egli si occupi a rendermi giustizia che è ufficio suo; dei miei divertimenti me ne occuperò io». (4)
 

E' necessario ripetere qui un'osservazione analoga a quella fatta al capitolo precedente, quando si parlò dell'insegnamento gratuito?
Come Saredo combattendo l'insegnamento gratuito (quello cioè dato a spese dello Stato) non avversava l'istruzione del popolo, ma voleva che essa fiorisse per iniziativa privata, così combattendo le sovvenzioni dei Governi a musei, biblioteche, accademie ecc., non era contrario a simili istituti, ma esigeva che sorgessero e vivessero a cura e carico dei liberi e specialmente dei facoltosi cittadini. (5)
 

In questa materia, ossia sul modo in cui lo Stato deve impiegare il pubblico denaro, Saredo, come dissi, fu meticoloso ed eccessivo, negandogli perfino il diritto e dovere di provvedere all'assistenza e beneficenza legale verso le vittime di ogni sventura e miseria. «Vedo una persona cui il suo non basta: gli dò liberamente una parte del mio: il mio diritto è rispettato. Ma se invece di lasciarmi libero di dare o di non dare, mi si toglie con l'imposta una parte di ciò che è mio per darlo agli altri che io non conosco e senza il mio consenso, allora dichiaro che è leso il mio diritto». (6)
 

Col tempo però, come modificò altre sue idee, smorzò alquanto anche questa sua intransigenza individualista a riguardo dello Stato, continuando tuttavia a dare, fino all'estremo suo giorno, l'esempio della rettitudine ed onestà che deve guidare gli amministratori del pubblico erario; e l'inesorabile severità con cui diresse, verso il 1900, l'inchiesta di Napoli testimonierà perennemente quale giustizia e scrupolosità pretendeva da coloro che in nome dello Stato, della Provincia o del Comune sono preposti a governare ed usare il patrimonio del pubblico.

_____________________
NOTE
1) Vedi Saredo: «Principi di diritto costituzionale» vol. II p. 170.
2) Vedi idem vol. II p. 170. Saredo fu sostenitore dell'indennità ai deputati. Vedi idem vol. II p. 100.
3) Vedi idem vol. II p. 173; vol. III p. 219, 220, 221 ; vol. IV p. 30 ed altrove.
4) Vedi idem vol. III p. 220.
5) Vedi idem vol. III p. 219 ove diceva: «Certo io faccio voti perchè la iniziativa dei privati crei biblioteche gratuite c circolanti, come ne abbondano in Inghilterra e negli Stati Uniti; biblioteche destinate agli ozi festivi e serali dell'operaio, a complemento di insegnamenti gratuiti, dati non dal Governo o dal Comune, ma dall'attività privata, accesa dal fuoco di carità civile e da quel vincolo di solidarietà morale, che fa dei cittadini di un Comune, di uno Stato, tanti fratelli. Ma il pubblico denaro non deve essere speso in opere di carità, bensì in opere di giustizia. E le biblioteche e i musei e le accademie sono faccende che spettano all’iniziativa individuale dei cittadini».
6) Vedi idem vol. IV p. 55.

_____________________



CONTRO I GOVERNI ASSOLUTI E LA REPUBBLICA


Vanto ambitissimo di Saredo fu l'essere sempre stato, non per tradizione o apatia o cieco proselitismo, ma per profonda convinzione, monarchico costituzionale e suddito fedele della dinastia sabauda, offrendogli sia l'uno che l'altra le più sicure garanzie di giustizia e di libertà, di difesa dei diritti dei cittadini e di quelli statali: mentre le forme di governo assoluto e le democrazie gii ispiravano sentimenti di sincera avversione.
 

Consci delle sue teorie liberali, non occorre che indaghiamo troppo a lungo i motivi, che gli fecero ripudiare i governi assoluti. Egli li qualifica illegittimi, nemici della libertà, conferenti al principe un'autorità incondizionata e riducenti il popolo mancipio e proprietà inviolabile del sovrano. (1)
 

Merita invece d'essere conosciuto con una certa larghezza il suo giudizio sulle democrazie o governi repubblicani.
«Il concetto di repubblica - scriveva Saredo - quale la difendono Rousseau, Saint Simon, Lamennais, Giulio Simon Luigi Blanc, Giuseppe Mazzini,Vacherot, Dupont, White,ed altri... è un concetto radicalmente irrazionale, perchè si fonda:
 1° sopra una teorica arbitraria;
 2° sopra la diffidenza della libertà umana». (2)
 

Detto inoltre che poggia sopra una teorica arbitraria misconoscendo «l'elemento storico del diritto politico» e non riconoscendo per legittimo e razionale altro governo che il repubblicano ; ed affermato che si fonda sopra la diffidenza della libertà umana perchè toglie ai cittadini importantissime responsabilità per addossarle al potere sociale; continua affermando che la repubblica, perchè basata su simili teoriche, «non è governo di ragione e... di libertà, ma governo di dispotismo: dispotismo paterno, intelligente, disinteressato, patriottico, volontariamente accettato, diretto al benessere universale tutto quello che si vuole: ma dispotismo» poco rispettoso della libertà umana, strozzatore delle responsabilità individuali, generatore di tutela statale da una parte e di sudditi pupilli dall'altra. (3).
 

Mettendo poi a confronto i benefici che possono attendersi dalla monarchia costituzionale con quelli d'una repubblica, asserisce tra l'altro: «...il carattere transitorio dell'ufficio presidenziale è poco favorevole al prestigio morale, che deve accompagnare il rappresentante inviolabile del potere sociale; nuoce alla lenta e opportuna maturazione dei concetti politici, alla continuità nella esecuzione; l'esperienza ci prova e la cognizione dell'umana natura ci conferma che ogni nuovo eletto ad una carica suprema di tal genere si crede in debito di rinnovare, di attuare le sue idee proprie e di lasciare qualche traccia profonda del suo passaggio. Conscio d'altronde della corta durata del suo ufficio o pensa alla sua rielezione, o se prevede che sarà surrogato non imprenderà mai cose il cui compimento non potrà ottenere, o delle quali forse toccherà l'onore di averle attuate al successore». (4)
 

Ed un altro motivo contro il governo repubblicano lo trae dalle divisioni, lotte e disordini che nascono per le successioni alla presidenza e dei malumori ed odi, che dopo le votazioni continuano a serpeggiare fra vinti e vincitori, turbando la civica pace. (5)
 

Ma l'argomento culminante della sua opposizione alla repubblica rimase sempre il timore che in essa non fosse sufficientemente salvaguardata la libertà e responsabilità individuale ; per cui, tacciando ancora una volta il governo repubblicano di dispotismo, esclamava: «Noi non vogliamo dispotismo di principe, ne dispotismo di popolo. Noi non vogliamo ubbidire che al supremo imperiato della giustizia» : (6) imperiato ch'egli vedeva, ammirava ed esaltava attuato nel governo monarchico costituzionale.

____________________
NOTE
1) Vedi Saredo: «Principi di diritto costituzionale» vol. I p. 262 ecc.
2) Idem vol. I p. 270.
3) Idem vol. I p. 270.
4) Idem vol. I p. 272.
5) Idem vol. I p. 272
6) Idem vol. I p. 274.

____________________



PER LA MONARCHIA COSTITUZIONALE

Ai suoi occhi il governo costituzionale era quello: «che fornisce le garanzie più sicure dei diritti naturali dell'individuo» e quello «che meglio si accorda collo sviluppo dinamico dell'umana personalità». (1) «Fondato sopra una base immutabile, che è il principio della continuità e della impersonalità del capo dello Stato, esso può armonizzare con sicurezza la libertà dell'individuo coll'unità nazionale. Tutti i disordini che possono avvenire rompono ad uno scoglio immutabile, che è l'inviolabilità del principe irresponsabile, rappresentante spassionato della giustizia, superiore alle parti politiche, indipendente da tutti». (2)
 

Con lunghe disquisizioni, con abbondanza e varietà d'argomenti, con risposte a difficoltà ed obbiezioni, in interi capitoli od in parti di essi dimostra che il governo costituzionale è governo legittimo, razionale, favorevole al progresso ed alla civiltà. (3)
 

Nell'alleanza della monarchia colla libertà, avverata nel governo costituzionale, egli scorgeva «il pernio immobile, la condizione inviolabile ed immediata del rinnovamento civile e politico di una nazione» (4).
Pensiero che ribadì nell'«Introduzione al Codice costituzionale» nell' anno 1893 scrivendo «Certo è che la monarchia costituzionale malgrado i suoi difetti è pur sempre per la maggior parte dei popoli europei la forma migliore di governo, quella che dà maggiori guarentigie di solidità e che ha maggiore elasticità di sviluppo della vita civile e politica della società e sopratutto quella che meglio di ogni altra dà loro la sicurezza dell'indomani».

Ed altrove dichiarava che la monarchia costituzionale è «la miglior forma di governo perchè risponde ad un tempo alle tradizioni storiche di quasi tutti i popoli europei, al loro carattere nazionale, ai bisogni complessi della società moderna, alle più legittime esigenze della filosofia contemporanea».(5)

Riferendosi, d'altro lato, più particolarmente all'Italia dice che la monarchia costituzionale non è solamente un dogma sacro per gli italiani, essendo essa la conseguenza dei legami che uniscono strettamente il popolo italiano all'eroica dinastia di Savoia; ma afferma che ha inoltre una grandissima importanza pratica perchè è la «guarentigia più salda e più durevole dei nostri diritti... e ci dà l'ordinamento sotto cui possiamo più ampiamente svolgere la nostra attività» (6) ed altrove aggiunge di avere «la convinzione che la nostra Italia è essenzialmente chiamata al reggimento della monarchia costituzionale. Storia, stirpe, interessi, sentimenti, virtù, vizi, qualità e difetti tutto concorre a fare degli italiani un popolo preordinato a questa forma di governo...». E con entusiastico slancio aggiunge: «Se come giornalista, la mia ragione mi dimostra la bellezza, l'armonia, la forza e la filosofia della monarchia costituzionale; la mia coscienza come italiano me ne dimostra la necessità per il mio paese». (7)
 

Il tipo di costituzione da lui vagheggiato come più perfetto e ideale fu però quello inglese, che egli decantò ed additò replicatamente, nei suoi libri, come modello di vicendevole rispetto e lealtà fra la Corona ed il popolo e di illuminata cooperazione fra Principe e cittadini per il bene dello Stato.
 

«L' Inghilterra ci serve d'esempio - esclama egli nel volumetto su Federico Sclopis. - Leggete la storia del popolo inglese. Ivi non troverete
periodiche e spaventose vicende fra la anarchia e le dittature... vi troverete un popolo che non vuole se non ciò che è possibile e preferisce le riforme alle rivoluzioni... che ama e custodisce gelosamente le sue leggi e quando vuole mutarle non scende in piazza coi fucili, ma colle ragioni... non si riunisce in tenebrose congreghe per cospirare, ma... proclama... a cielo aperto quello che vuole
» (8)

___________________________
NOTE
1) Vedi Saredo: «Principi di diritto costituzionale» vol I. p. 196.
2) Vedi idem vol. I p. 215.
3) Vedi p. esempio idem vol. I p. 191, 262, 263, 264, 268 , 270, 274 ecc.
4) Vedi idem vol. I p. 10.

5) Saredo : «Introduzione al codice costituzionale» p. 88; e «Principi di diritto costituzionale» vol. IV p. 219.
6) Saredo: «Principi di diritto costituzionale» vol. I p. 10.

7) Vedi idem vol. I p. 276.
8) Vedi Saredo: «Il passaggio della Corona» p. 66; e Saredo: «Vita di Federico Sclopis» p. 76, 78.

___________________________
 

 

AUTONOMIE COMUNALI E PROVINCIALI

Desideroso del maggiore perfezionamento della cosa pubblica anche in Italia, da «vero costituzionale» come appellavasi, non si peritò di criticare manchevolezze sia nei principii che nelle funzioni di governo. Basterà accennare, per ora, a ciò che si riferisce all'accentramento statale ed alle riforme dei ministeri.
 

Egli caldeggiò sempre le autonomie comunali e provinciali, osteggiando l'accentramento governativo, definendolo un incentivo alle rivoluzioni e considerandolo come un genere di amministrazione in antagonismo col progresso civile ed economico dei popoli e generatore di immoralità. (1)
 

Nella «Introduzione alla nuova legge Comunale e Provinciale» (p. 442) scriveva «Un gran numero di affari di interesse puramente locale e di minor conto viene trattato nei Dicasteri. L'attività dell'amministrazione centrale viene da essi assorbita, non può rivolgersi con maggior attenzione ai negozi più gravi. La necessità del provvedimento dell'autorità centrale è cagione di perdita di tempo e questa fa cessare talvolta l'opportunità del provvedimento stesso; cagiona spese maggiori, rende l'errore del dicastero più grave nelle sue conseguenze e per ogni minimo affare fa risalire le scontentezze dell’amministrato fino al potere centrale. Quando sopra un negozio può provvedersi dai prefetti e non vi è alcuna ragione di ordine pubblico che esiga l'intervento del governo centrale bisogna esonerarne i dicasteri».
 

Nei riguardi dell’Amministrazione generale dello Stato e dei Ministeri in particolare lamentava che nè a l'una nè agli altri fossero state ancora apportate quelle modificazioni e perfezionamenti che le circostanze di tempo, di luogo e di progresso richiedevano.
 

Disapprovava così nei legislatori italiani, dall'unificazione del Regno in poi, la «mancanza di un concetto direttivo» per cui non era stata tenuta nel debito conto nè la maniera in cui la nuova Nazione si era formata, nè la diversità di usi, leggi, tradizioni e interessi delle non poche e differenti provincie annesse.
«Si foggiò - osservava - un vestito modello, come la uniforme di un reggimento; e si volle che a questo vestito si avessero da acconciare tutte le regioni della penisola, le grandi città come i piccoli comuni delle Alpi e degli Appennini, le Provincie ricche e fiorenti come le più povere e meno popolose».
 

«Accadde ciò che era facile prevedere; il vestito troppo largo per gli uni era stretto per gli altri; ma conveniente ed agevole per nessuno.
Se esteriormente l’Amministrazione era una nei titoli, nei suoi organi, nelle sue forme nella sua azione; presentava però interiormente le più singolari difformità: uno stesso nome copriva le cose più disparate
».


«Sotto la regolarità apparente continuarono ad esistere e a mantenersi le più urtanti anomalie; si credette di avere attuato dovunque l'ordine amministrativo; in realtà sotto quest'ordine si verificavano disordini infiniti, che si traducevano in offese a interessi legittimi, in arbitri quotidiani che era ed è impossibile reprimere». (2)
 

Nelle sue critiche non misconosceva che, nel corso degli anni, dal Governo e dal Parlamento erano stati fatti tentativi per il miglioramento della vita amministrativa del Paese; tuttavia, nel 1895, era costretto a biasimare che «i criteri che dirigono la legislazione... conservano... nel loro complesso tutti i loro contrasti con la realtà delle condizioni e dei bisogni delle diverse popolazioni della penisola». (3)

________________
NOTE
1) Vedi Saredo: «Principi di diritto costituzionale» vol. I p. 130 e vol. IV p. 134, 135, 145 ecc.
2) Vedi Saredo: «Codice delle Amministrazioni» p. 5 della prefazione.
3) Vedi idem.

________________
 


MINISTERI E RIFORME

Rilievi non meno severi faceva esaminando il numero, la costituzione, le incombenze ed il funzionamento dei ministeri. Li avrebbe voluti in numero ridotto, perchè la loro quantità non era proporzionata alla «divisione naturale delle amministrazioni centrali» e, come proponeva l'unione di quello delle Finanze con quello del Tesoro, così suggeriva la creazione di un dicastero dell' Economia nazionale, destinato a succedere, fondendoli in uno solo, ai ministeri dell'industria, del commercio, dei lavori pubblici e di qualche altro compreso il ramo della marina mercantile.


Al ministero della pubblica istruzione non riconosceva nè l'opportunità nè la competenza di conservare la direzione dell'insegnamento superiore ed agognava l'alba del giorno in cui le Università avrebbero rigoduta la pienezza della loro vita autonoma.

Altre censure rivolgeva ai ministeri di grazia e giustizia, della guerra e della marina perchè diretti da uomini politici invece che da funzionari competenti, inamovibili, estranei e superiori a tutte le competizioni di parte.
 

Secondo lui, e giustamente, la linea direttiva di questi ministeri doveva essere ben definita, mirante ad uno scopo ben determinato e preciso, basata su criteri saldi, coordinati e sicuri, svolgentesi senza sbalzi e interruzioni, e ispirante la fiducia e la sicurezza dell'intero paese.

Avendo essi, invece, a capo un ministro politico, un uomo cioè appartenente a qualcuno dei tanti partiti, non potevano offrire tali prerogative e garanzie sia perchè il ministro, soggetto a tutte le oscillazioni della politica, poteva essere sbalzato da un giorno all'altro dal potere, senza alcuna speranza di continuità della sua opera, sia perchè lo stesso, nella brama di conservare la carica, poteva porgere più ascolto agli amici sui voti dei quali contava, che alla voce del dovere, dell'equità e dell'interesse pubblico. (1)
 

Saredo, in sostanza, mirava a che i ministeri divenissero più spigliati e liberi da ogni fardello ingombrante, che potesse affidarsi ad amministrazioni inferiori; che si imponessero per gravità, disciplina e competenza e che allontanassero da se anche la menoma ombra di intrighi e ingiustizie, perchè quanto più i supremi organi esecutivi d'uno stato costituzionale sono perfetti ed agiscono regolarmente, tanto più esso acquista autorità, stima e valore.

_____________________
NOTE
1) Vedi Saredo: «Codice delle Amministrazioni» p 7, 8, 10, 11 e 12 della prefazione.

_____________________
 

 

FEDELTA' ALLA DINASTIA

Pari alla simpatia ed attaccamento di Saredo al governo monarchico costituzionale, fu la sua fedeltà e devozione alla Dinastia Sabauda, che in Italia personificò e si identificò colla costituzione.
 

I «Principi di diritto costituzionale» il «Du principe des alliances» ed «Il passaggio della Corona», pubblicati da lui in epoche diverse, contengono brani alati, sufficienti da soli a testimoniare la sua grande ammirazione ed affetto per la Casa Savoia e lo studio che poneva per farla rispettare ed amare dagli altri.

Dichiaratosi entusiasticamente per essa, quando entrò giovanissimo nelle file dei sostenitori del risorgimento nazionale, le rimase lealmente ossequioso cogli insegnamenti, gli scritti e le opere, fino alla morte.

Esaltò Carlo Alberto come re che glorificò la propria stirpe regale, concedendo lo Statuto e combattendo per la liberazione delle terre italiane dalle mani dell’Austria. Additò ai popoli Vittorio Emanuele II come «il più gran principe» e «principe modello», chiamandolo: «prince dont le nom est devenu synonyme de loyautè, de bravoure, de patriotisme et de grandeur d'âme» (1) e definendolo «modello ai sovrani... di lealtà cavalleresca, di devozione illimitata al bene pubblico, di scrupolosa osservanza delle leggi costituzionali, di fiducia piena e costante nell'azione feconda della libertà(2)
Alla morte di Vittorio Emanuele, salutò l'avvento al trono di Umberto I con enfatiche parole rendendo «omaggio... al nuovo Sovrano, che, erede delle paterne virtù, ha dichiarato solennemente al paese che seguirà fedelmente le tracce del suo glorioso genitore, e apporterà l'opera sua per consolidare è sviluppare quelle istituzioni che ci hanno elevato a libera nazione e che sono vincolo perenne fra l’Italia e la Casa Savoia, unite nel passato come nel presente, e come lo saranno, ne abbiamo fede profonda, nell'avvenire». (3)
 

E sotto il regno di questo nuovo sovrano, i molteplici anelli che annodavano l'animo di Saredo alla Dinastia di Savoia si strinsero ancor più perchè nelle frequenti occasioni che egli, nelle sue qualità di Consigliere di Stato, di Senatore o di Presidente del Consiglio di Stato, ebbe di avvicinare Umberto I e di trattare con lui, trovò nuove prove della squisita cortesia e magnanimità dei Savoia, come si vedrà brillantemente nel capitolo, ove si parlerà dell'intervento del «re buono» a favore dell'«exequatur» di Mons. Giuseppe Scatti, Vescovo di Savona.

Qui mi limiterò a ricordare un altro episodio, piccolo ma eloquente.

Recatosi un giorno Giuseppe Saredo all'udienza reale, Sua Maestà dopo averlo alquanto osservato gli disse:
 -  «Come mai non ha messo tutte le decorazioni?».
 -  «Maestà, le ho tutte».
 -  «Ma Le manca la gran croce d' Italia».
 -  «Questa, Maestà non posso metterla, perchè non mi è stata mai conferita».
Il giorno appresso il Re firmò il decreto concedente a Saredo il titolo di «gran croce». (4)

Non posseggo alcuna lettera od altro manoscritto di Saredo accennante ai suoi rapporti coll'attuale sovrano Vittorio Emanuele III. Quando questi ascese al trono, rimasto vuoto per l'esecrando delitto di Monza, quegli era già Presidente del Consiglio di Stato, ma non sopravisse che poco più di un biennio. Ma se mancasse pure ogni altro documento capace di farci conoscere quanta stima il re abbia posto in Saredo e quanto questi gli abbia fedelmente corrisposto, supplirebbe ad abbondanza il fatto della famosa inchiesta di Napoli, avendo il re affidato a lui il delicatissimo e difficilissimo incarico di presiederla ed avendola egli, per tenere alto il nome d' Italia, della Monarchia e della Casa Sabauda, condotta e diretta con tale spirito di abnegazione e sacrificio da non temere fatiche, odi, insulti, calunnie, lotte sorde ed aperte e da sfidare la stessa morte.

Ad entusiasmarlo della Dinastia di Savoia non concorsero solamente le gesta cavalleresche, gli ardimenti eroici, le virtù patriottiche e liberali di discendenti maschili di essa, ma vi contribuirono altresì le doti di gentilezza, sapienza, soavità e dolcezza di principesse e regine, come ne fa fede il passo seguente, veramente lirico, inneggiante alla regina Margherita, sposa di Umberto.

«Prerogativa della regina è di raccogliere intorno al trono le simpatie di tutti gli animi gentili e ben nati, di essere esempio incomparabile di tutte le virtù che attirano sulla donna la riverente ammirazione della Nazione; di essere sempre la prima a partecipare alle feste dell'intelligenza e del cuore; di avere pronto l'aiuto consolatore nei dolori e nelle miserie; di asciugare le lacrime dì chi soffre e di temperare colla soave autorità della donna la gravità dei diritti e doveri della corona: di rappresentare sul trono la dolcezza, la bontà e la clemenza; di incoraggiare col prestigio delle grazie sovrane le scienze, le lettere, le arti».
«E se queste prerogative la Regina d' Italia sappia esercitare lo dice la coscienza unanime riconoscente e commossa della Nazione». (5)

Non ultimo, né più trascurabile motivo di sì schietta ammirazione e fedeltà di Saredo verso la Dinastia reggitrice delle sorti d' Italia fu certamente lo slancio generoso con cui dai Savoia si disposò e sorresse la causa dell'unità e indipendenza nazionale, di cui egli s'era invaghito giovanissimo divenendone costante ed autorevole assertore.

____________________
NOTE
1) Vedi Saredo: «Du principe des alliances internationales » p. 7.
2) Vedi Saredo: «Il passaggio della Corona» p. 65.
3) Idem. p. 65.
4) Vedi il «Memoriale» della nipote.
5 ) Vedi Saredo : «Il passaggio della Corona»  p. 37.

____________________


..............


UNITA' NAZIONALE

Se meritò la stima di Cavour e l'amicizia di Mamiani, Minghetti, Rattazzi, Sella, Ferrara, ne consegue evidentemente che le sue aspirazioni dovettero essere conformi ai disegni dei grandi fautori liberali del risorgimento italiano, per i quali l' indipendenza e unità era un dogma: ed il Minghetti compiacendosi degli insegnamenti e scritti del nostro professore sul programma liberale, sul governo costituzionale, nella monarchia ed unificazione italiana, lo incoraggiava, a voce e in iscritto, a continuare a spargere nelle menti quei semi, che un giorno avrebbero dato infallantemente la messe sperata. (1)
 

E Saredo fu di essi propagatore zelante, avversando però le piazzate, le scene clamorose e le declamazioni retoriche.
Domandatosi durante una lezione all’Università di Parma, nel 1861, se «sarà... lontano ancora il giorno in cui i nostri voti (quelli dell'indipendenza e unità) diverranno una compiuta realtà?»
Egli rispose: «E' un arduo quesito. Io so però che per affrettare quel giorno non abbiamo già da scendere a pazze imprecazioni o perderci in un fatalismo codardo; ma dobbiamo invece prepararci vigorosamente ad attuare il nostro diritto. Non sono le dimostrazioni delle piazze, non le bandiere o le declamazioni retoriche che ci renderanno degni di essere nazione: sono i forti studi, lo sviluppo delle nostre facoltà fisiche e morali: i generosi propositi, gli esercizi del corpo e della mente; la coscienza di noi stessi, dei nostri diritti e dei nostri doveri... Coi dolori e colle vergogne secolari abbiamo espiato gli errori ed i delitti del passato; rendiamoci ora degni di nuovi destini!» (2)
 

Credo superflua la citazione di altri passi, comprovanti la sua schietta adesione e partecipazione alla causa del risorgimento italiano: esse non possono mettersi in dubbio e dal detto finora appaiono in piena luce solare, e terminerò questo paragrafo rievocando come Saredo salutasse gongolante (3) l'occupazione di Roma, ripetendo da «italianissimo» l'«hic manebimus optime» e come sedesse fra i primi ad insegnare, in nome dello Stato italiano, nelle aule di quella «Sapienza» che, per secoli e secoli, aveva istruito la gioventù e formato dotti e grandi nel nome dei Papi.

______________________
NOTE
1) Da lettere di Minghetti a Saredo, (possedute dalla Marchesa Marieni).

2) Vedi Saredo : «Principi di diritto costituzionale» vol. IV p. 259.
3) Vedi Saredo: «Sul diritto costituzionale» e vari articoli e note nella rivista «La Legge».

______________________ 
 


LIBERTA' DI COSCIENZA

Adolfo Thiers, l'eminente storico della Rivoluzione francese e presidente della terza repubblica, nel «Rapport sur l'assistance pubblique» del 1850 disse: «La società contemporanea è la migliore che si possa ora pensare, perchè essa poggia sulle basi più giuste».
E le basi prodigiose, cui alludeva, erano quelle costrutte un pò dappertutto in Europa, dalle teorie liberali.
Non è quindi a stupire se Saredo, dissetatosi a grandi sorsi fin dalla giovane età, a queste fonti, si sia convinto che il programma liberale fosse il non plus ultra del desiderabile ed abbia professato ed inculcato i più larghi e sconfinati principi di libertà.


Dissi, in principio di questo capitolo, ch'egli aveva fatto sue le parole e le aspirazioni di Cavour «Noi crediamo che si debba introdurre il sistema della libertà in tutte le parti della società religiosa e civile... Noi vogliamo la piena ed assoluta libertà di coscienza; noi vogliamo tutte le libertà civili e politiche che sono compatibili col mantenimento dell'ordine pubblico» ; coglierò ora dalle numerosissime pagine, che l'uomo politico savonese scrisse sulla filosofia della libertà e sulle varie specie di questa, alcuni concetti che rispecchiano fedelmente il suo pensiero su di esse.


Prima e principale libertà, proclamata da lui è quella di coscienza, definita il «diritto che ha ogni individuo di manifestare liberamente le sue convinzioni sui grandi ed eterni problemi della religione e della morale, sui doveri dell'uomo, sulla sua destinazione, sul principio ed il fine dell'universo, sull'immortalità dell'anima, sull'esistenza di Dio...». (1)

Egli la calcola sì vantaggiosa ed indispensabile allo sviluppo dell'essere umano e conseguentemente del progresso civile, da pretendere che essa sia riconosciuta e guarentita dallo Stato.

«Quando un individuo afferma pubblicamente le sue credenze e le sostiene rispettando rigorosamente i diritti altrui, quando cerca divulgarle con mezzi onesti e legittimi, senza violenza e senza frodi, allora egli ha il diritto di esigere che la sua libertà d'azione sia pienamente guarentita dalle leggi civili e che nessun ostacolo sia imposto alle sue credenze, quand'anche esse fossero interamente opposte a quelle dell'intera maggioranza dei cittadini». (2)

E non solo domandava la garanzia per ciascun uomo di poter adottare per se «quei principi di morale che più appagano la sua ragione» ma altresì quella di poterli «insegnare a voce e per scritto» e di praticarli pubblicamente. (3)
 

Sono convinto che Saredo nel declinare della sua esistenza non abbia più blandito con tanto entusiasmo siffatte dottrine, le quali fin dall'ultimo scorcio del secolo XIX avevano accumulata tanta abbondanza di disonestà pubbliche e private, di immoralità nei commerci e nell'industria, di frodi alle amministrazioni comunali, regionali e statali e di danni e disastri alle famiglie ed alla società. E tanto meno le avrebbe ancora approvate, dopo che esse condussero non poche nazioni al pericolo di cadere nel baratro del comunismo. Libertà di coscienza, in pratica, sia in alto che in basso, salvo rarissime eccezioni equivale a non avere alcuna coscienza o ad agire contro la coscienza naturale, e su questo sentiero si avviano, anche senza volerlo, i popoli alle catastrofi.

Ne importa che tali teorie vengano sparse con mezzi prudenti e senza violenza: gettato una volta, il seme deve dare i suoi frutti.

Ma mentre egli reclama con tanta solerzia l'intervento dello Stato per garantire la libertà di coscienza ad ogni cittadino, ripudia con altrettanta energia dall' ammettere che abbiano diritto di esistere governi che quella libertà guidino, limitino o sopprimano: e giunge al punto da dichiararsi contrario ad «ogni ingerimento governativo negli affari che concernono la morale e la coscienza, anche quando il governo possedesse tutta intera la verità e fosse infallibile». (4)
 

Ed uno dei motivi che l'assillavano, oltre all'amore sviscerato alla libertà ed al timore che anche l'infallibile potesse sbagliarsi, era la preoccupazione che senza la libertà di pensiero sulla «destinazione dell'uomo, sulla vita futura, su Dio» si sarebbe arenato il progresso. (5) Quasi che senza aver lasciato libero sfogo a tutte le astruserie, falsità e balordaggini dette e stampate da tutti i liberi pensatori intorno a Dio, al fine dell'uomo, all'esistenza ed immortalità dell'anima, Pasteur non avrebbe trovate le sue teorie patologiche, Stephenson non avrebbe inventato la locomotiva, Volta la pila, Meucci il telefono, Edison il fonografo, Marconi le trasmissioni senza fili, Zeppelin i suoi dirigibili ecc. ecc.

__________________
NOTE
1) Vedi Saredo: «Principi di diritto costituzionale» vol. III p. 67.
2) Vedi idem.
3) Vedi idem.
4) Vedi idem p. 73, 75
5) Vedi idem p. 82.

___________________



LIBERTA' DI STAMPA

Dalla libertà di coscienza o pensiero a quella di stampa non corre che un lievissimo tratto: l'una è un corollario dell'altra.

«La libertà di stampa - scrive infatti Saredo - considerata nella sua essenza, non è altro che un corollario della libertà di coscienza. Se l'uomo ha dal suo Creatore la facoltà di sentire liberamente, ha altresì il diritto di esprimere quello che sente, altrimenti la facoltà che possiede resterebbe annientata nella sua fonte, e si verrebbe a condannare l'opera del Creatore». (1)
 

E chiamando la stampa «una lampada immensa, che rischiara col suo splendore gli atti lodevoli non meno che i disonesti» dice: «tutte le libertà hanno chi le odia, per ignoranza o per interesse, ma nessuna di esse è tanto odiata quanto la libertà della stampa». (2)

Su tale libertà, difendendola a spada tratta, svolge una dissertazione d'una cinquantina di fitte pagine, analizzando ed illustrando le ragioni che la sostengono, esaminando i vincoli e restrizioni impostele dalle leggi, criticando aspramente le pene che la minacciavano prima del 1862, e studiandola in rapporto ai cittadini ed ai tre poteri dello Stato: l'esecutivo, il legislativo ed il giudiziario.
 

Nelle sue investigazioni è minuzioso e talora fin troppo consequenziario, come appare dall'enumerazione che fa degli effetti derivanti dalla limitazione o soppressione di detta libertà.
Non pago di asseverare che tolta la libertà di stampa resta manomessa la libertà di coscienza e quindi quella di discussione, di esame, di critica, di controllo e di opposizione, afferma che impedendo la libertà di stampa si viola altresì «la libertà di lavoro, il diritto di proprietà, il diritto di associazione» perchè si vieta di lavorare a chi vuol scrivere e stampare, di usare del suo ingegno e delle sue macchine e di associare i mezzi e le forze di più individui per dare alla luce un libro o un giornale. (3)
 

Dalla maggiore o minore larghezza, poi, con cui nelle nazioni o da uomini politici viene ammessa la libertà di stampa, egli trae la misura per valutare la bontà dei governi e ministri.

«Se volete - sentenzia egli - un criterio sicuro sulla bontà d'un governo, interrogate le sue leggi sopra la stampa. Se volete giudicare dell' integrità di carattere dà un uomo di Stato, chiedetegli quali sono le sue opinioni sopra la stampa... Guai a quel partito che la combatte! Egli ha sottoscritto la sua condanna». (4)
 

Ed in altra parte della medesima pagina ancora più esplicitamente proclama: «Quando vedete un governo, un ministro od un pubblicista maledire alla libertà della stampa, voi potete essere certi che avete dinanzi a voi o la codardia o l'improbità».
 

Può darsi che qualche volta sia pur troppo successo così ! Ma quante altre volte si è dato di trovarsi invece dinanzi ad un sovrano o ministro, che nel disapprovare e frenare la libertà della stampa non seguiva impulsi codardi ed improbi, ma i dettami del buon senso e la nobile ambizione di ostacolare l'anarchia, il dilagare del malcostume e la depravazione sociale: poiché i vincoli regolatori della libertà di stampa non sono unicamente quelli tendenti a far rispettare la «giustizia nella persona e nell'onore altrui» come vorrebbe Saredo, (5) ma debbono essere altresì quelli diretti, per esempio, al man­tenimento del senso morale, alla difesa della pubblica onestà ed alla salvaguardia della famiglia !
 

L'esposizione che, nel capitolo precedente feci delle idee di Saredo circa la libertà d'insegnamento, alla quale era arcifavorevole, mi dispensa dal fermare nuovamente intorno ad esse l'attenzione del lettore.
Ne mi indugierò, ora, sui suo pensiero riguardo alla libertà dei culti, occorrendo farne parola
nel capitolo seguente.
E sorvolando le sue teorie circa la libertà di lavoro, colle quali condanna l'ingerenza dello Stato nelle industrie e commerci, le sovvenzioni governative, i monopoli di Stato e l'intervento di questo nelle questioni dei salari ed orari, (6) non accennerò qui che ad alcuni suoi apprezzamenti relativi alla libertà d' associazione.

_____________________
NOTE
1) Vedi Saredo: «Principi di diritto costituzionale» vol. III p. 110.
2) Vedi idem p. 109.
3) Vedi idem p. 111.
4) Vedi idem p. 109.
5) Vedi idem p. 117.
6) Merita d'essere citato questo passo di Saredo sui salari operai : «La cifra del salario... non dipende nè dall'arbitrio del capo fabbrica, nè da quello dell'operaio. Il lavoro è una merce come un'altra: l'operaio ne dibatte liberamente il prezzo col principale. Se questi crede che il lavoro offertogli dall'operaio vale 10, offre dieci; se crede che non ne valga che due, offrirà due. L’operaio è libero di accettare il contratto o di respingerlo. Ma accade talora che all' operaio il quale guadagna dieci, il principale non ne offre più che otto. V'è lesione di contratto? Sì, se il  principale sì era obbligato a tenere l'operaio per un dato tempo al tal salario e che il tempo non sia ancora scaduto: no, se non v'era impegno di sorta.
Il prezzo del salario, come quello di ogni altra merce, si alza o si abbassa secondo che vi è abbondanza o mancanza di lavoro. E questo non dipende dalla volontà nè del capofabbrica; nè dell'operaio. Voi conoscete, senza dubbio la formola così pittoresca con cui Riccardo Cobden esprimeva questa legge : - I salari rialzano quando due capifabbrica corrono dietro a un operaio: i salari ribassano, quando due operai corrono dietro a un capofabbrica. - In queste cose che ci può fare il governo? Null’altro che guarentire la fedeltà nell'eseguire i contratti
».
Vedi. Saredo : «Principi di diritto costituzionale» vol. IV p. 36.

______________________



LIBERTA' DI ASSOCIAZIONE

Distinte le associazioni in due categorie: naturali e volontarie: e poste fra le prime la famiglia, il comune, la provincia e la nazione, e definite le seconde: «le società (sorte ad iniziativa di privati cittadini) che hanno uno scopo morale ed economico», afferma che il diritto di associarsi «è tanto inviolabile quanto ogni altro diritto» e che «unico vincolo all'attività della persona collettiva risultante dall' associazione è lo stesso limite che è ¡imposto all'attività di ogni persona individuale: vale a dire il rispetto al diritto altrui». (1)

La base che egli poneva all’esercizio del diritto di associazione era la stessa su cui poggia il diritto alla libertà individuale.

«Un individuo - scriveva - ha egli il diritto di pregare come crede e come sente? Sì. Dunque cento individui, mille individui hanno diritto di riunirsi per pregare: ciò che è giusto e legittimo per uno è naturalmente anche giusto e legittimo per mille. Un uomo ha egli il diritto di lavorare? Sì. Dunque dieci, mille individui hanno lo stesso diritto, anche quando si riuniscono per lavorare insieme». (2)

 

Anche in quest'argomento non mancò di mostrarsi, come era naturale dati i suoi principi, risolutamente ostile alle inframettenze governative, dichiarando che dove il diritto di associazione vige più liberamente, ivi gli Stati sono più inciviliti e dove invece l'«associazione è una parola vuota di senso, ivi mancano o scarseggiano importantissimi elementi di civiltà». (3)

 

E rivendicando la libertà d'associazione non ammetteva esclusioni nè di scopi, nè di classi di persone a meno che gli uni o le altre tendessero ad un fine contrario alla giustizia. Si distinse perciò, come si vedrà meglio più innanzi, dalla colluvie di quegli altri liberali che per settarismo od opportunismo politico o per pregiudizi anticristiani, pur sbandierando ai quattro venti il programma della libertà di associazione, la negavano o mutilavano quando trattavasi di riconoscerla o concederla ai religiosi.
 

E nello sviluppo dello spirito ed attività associativa riscontrava una delle più efficaci collaborazioni del civile progresso, come risulta dalle parole che pronunziò, nel 1899, nel discorso inaugurale del Circolo giuridico di Roma, in cui quasi preannunziando il fortunato avvenire dei sindacati di classe e lamentando che l' Italia difettasse di stima e di fede nelle associazioni corporative, diceva:
«Per un complesso di cause, che sarebbe malagevole determinare, lo spirito di associazione in Italia non si è ancora esplicato in quella misura e con quei caratteri che sono a desiderarsi, onde l'azione collettiva dei sodalizi si manifesti come armonico integramento di quelle funzioni dello Stato, nelle quali si incarnano le vittorie del progresso civile».


In materia di libertà sia rispetto alle associazioni, che ai culti, che alla stampa e coscienza, le sue concezioni e convinzioni oltrepassarono spesso i termini dell'equo e prudente, rasentando e varcando talora il terreno dell'eresia, per ciò che concerne la religione, e sfiorando ed inoltrandosi nel paradosso per ciò che riflette la politica e la vita civile. Basti a convincercene il fatto che egli, un tempo, sostenne il divorzio e combattè l'infallibilità pontificia, ed insegnò e pubblicò che sarebbe stata vana l'unità ed indipendenza nazionale senza le libertà costituzionali e che sarebbe preferibile essere soggetti ad un governo straniero che ad uno nazionale se questo opprimesse e calpestasse le più sacre libertà. (4)
 

Dal vastissimo campo delle libertà, sulle quali Saredo compose vere ed elaborate trattazioni, riduciamoci ora a dare un cenno sommario di altri argomenti atti a mettere in maggior rilievo la di lui figura politica.

___________________
NOTE
1) Vedi Saredo: «Principi di diritto costituzionale» vol. III p. 5, 6.
2) Vedi idem p. 6.
3) Vedi idem p. 9.
4) Vedi prefazione ai «Principi di diritto costituzionale» di Saredo.

____________________
 


CONTRO LA "DUPLICE COSCIENZA"

Una pagina che gli fa grande onore, quantunque non sia una delle conseguenze più logiche della netta separazione che egli stabilisce fra imperativo etico ed imperativo giuridico, di cui già si parlò, è la seguente, nella quale deplora la perniciosa distinzione creata tra morale pubblica e morale privata.
 

«Sgraziatamente è venuta di moda la teoria delle due morali: la morale privata e la morale pubblica. Si pretende che un uomo può essere onesto nella vita pubblica e disonesto nella vita privata: si pretende che può aver luogo anche il contrario, che, cioè, un pessimo cittadino può essere virtuoso nella sua vita privata. No, vivaddio, no, mille volte no! Non sarà mai vero che vi possa essere diversità fra le due virtù: un pubblico furfante sarà sempre anche furfante privato: non vi è che una morale e questa è la stessa e per la vita pubblica e per la vita privata». (1)

_____________________
NOTE
1) Vedi Saredo; «Principi di diritto costituzionale» vol. IV p. 280.

_____________________

 

 

DIRITTO DI SINDACARE GLI UOMINI PUBBLICI

Più o meno armonicamente a questi suoi principi, egli si spingeva ad insegnare che degli uomini politici non solo potevasi sindacare la vita pubblica ma altresì la privata.
 

«E' forse questo un abuso? è forse un'ingiustizia?» si domandava: e rispondeva ch'era un diritto dei cittadini. E continuava: «Voi, candidato, vi presentate a me per chiedermi il mio suffragio, perchè io vi elegga a mio mandatario: voi volete che vi dia facoltà di far leggi concernenti la mia persona e i miei beni. Io non ho nessuna difficoltà a farlo, ma prima voglio conoscervi... Se voi rimanete nell'inviolabile santità del focolare domestico... io non avrei il menomo diritto di occuparmi dei fatti vostri... Ma no! Voi volete rinunciare alla vita privata: voi volete entrare nella vita pubblica. Siete padrone di farlo! Ma entrateci a vostro rischio e pericolo, e sottomettetevi a tutte le conseguenze del vostro operato. Voi aspirate a governare me. Sia pure. Ma prima... voglio sapere come governate voi stesso, come governate la vostra famiglia. Voi chiedete l'incarico di far leggi sulla mia persona e sui miei beni: voglio sapere come regolate i vostri...
«Quando il deputato farà una legge di restrizione ai miei diritti, o di contribuzione sui miei beni, forse che non invaderà la mia vita privata? Ebbene, io faccio altrettanto con lui: e con più diritto di lui...». (1)

__________________
NOTE
1) Vedi Saredo; «Principi di diritto costituzionale» vol. II p. 92.

__________________



INDENNITA' AI DEPUTATI

Ma se protestava di voler liberamente vagliare la vita pubblica e privata dei deputati, d'altro lato riconosceva l'alta dignità e diritti spettanti alla loro missione e con generosa insistenza patrocinava per loro fin dal 1862 quella indennità che venne solo stanziata all'esordire del secolo presente. (1)

E come domandava l'indennità per i deputati, così invocava la riduzione dei bilanci statali, l'istituzione dell'imposta progressiva, il lavoro nelle carceri, voleva il voto obbligatorio, combatteva la pena di morte, avversava il socialismo, difendeva il diritto di proprietà dicendolo: il cardine costitutivo della famiglia e dello Stato.
 

Tali argomenti e molti altri di notevole importanza politica sono svolti qua e là nei «Principi di diritto costituzionale», ove il lettore potrà facilmente trovarli coll'aiuto dei ricchi indici e diffusi sommari di cui Saredo adornò i volumi.
 

Giuseppe Saredo, liberale spiccatamente individualista, foggiatosi un sistema filosofico-politico, avente per base la più ampia esplicazione delle attività e libertà individuali (2) limitate unicamente dalle ragioni di ordine pubblico e dal dovere proprio di ogni cittadino di non ledere lo sviluppo delle attività e libertà degli altri, ne trasse direttamente le conseguenze teorico pratiche da applicarsi, come panacea, alla soluzione dei problemi della vita sociale, amministrativa e giuridica ed alla lotta contro i mali da cui può essere afflitta una nazione.
 

Come tutti i sistemi liberali, anche il suo non andò immune da errori e contraddizioni ed alcune pecche ve le aveva scoperte lo stesso Minghetti, secondo che risulta da lettere di costui.

Nelle deduzioni dal suo sistema, Saredo fu rigidamente vincolato ai principi posti, senza preoccuparsi se fossero o no conformi a quelle di altri liberali riconosciuti e stimati da lui medesimo quali maestri.
 

Dissentì infatti su vari punti da Stuart Mill, Minghetti, Mamiani, Mancini ecc. (3) Ed in talune osservazioni e conclusioni, sempre per mantenersi troppo tenacemente attaccato ai principiasi scorge talora alcunché di ingenuo, come là dove sostiene la libertà di stampa nei riguardi della famiglia e del buon costume, nonostante che gli si facessero presenti i gravissimi pericoli e guai che ne scaturirebbero. (4)

Se nei suoi volumi s'incontrano - fu già avvertito - idee e teorie reputate ora inaccettabili, (5) è bene ripeterlo, col tempo egli ne modificò e mutò non poche. Sapientis est mutare consilium!
 

Tra gli errori e contraddizioni più salienti del liberalismo di Saredo non devono omettersi quelli di ordine religioso.

Ma di fronte alla religione egli, sia cogli scritti che colla vita pubblica, s'acquistò non poche e non piccole benemerenze, le quali insieme agli errori suddetti varranno assai efficacemente a completarci la mentalità politica del personaggio che studiamo.
 

Tali benemerenze e tali errori formeranno appunto l'argomento dei prossimi due capitoli.

_____________________
NOTE
1) Vedi Saredo; «Principi di diritto costituzionale» vol  II p. 100.
2) A pag. 261 del IV volume dei «Principi di diritto costituzionale» Saredo scrive che l'autonomia personale è il «principio e fine della scienza sociale» ed a p. 99 del vol. I esalta tanto l'individuo da collocarlo al posto della famiglia come monade dell'umana società.
3) Vedi idem vol. IV p. 13, 189, 273; vol. II p. 150 ecc.
4) Vedi idem vol. III p. 127 e 128.
5) Insegnava tra l'altro che il Re non può fare grazia o amnistia. «Le offese fatte alla legge - diceva - non si perdonano. Il perdono è una virtù: è un atto morale. La Corona non è nè virtuosa nè immorale: è giusta  perchè rappresenta il diritto. La legge non è nè sensibile, nè crudele: è inflessibile. Chi ha fatto il male lo espii: chi è innocente sia assolto. La grazia non ci ha che fare». Vedi «Principi di diritto costituzionale» vol. I p, 291

______________________



FONTI e LINKS di approfondimento

 

1.  GIUSEPPE SAREDO - BIOGRAFIA

2.  L'INSEGNAMENTO SCOLASTICO E UNIVERSITARIO
 

3.  IL CREDO POLITICO - SAREDO LIBERALE E MONARCHICO
 

4. TEORIE FILOSOFICHE E RELIGIONE

 

5. L'INFUENZA POLITICA E  LA QUESTIONE ROMANA

 

6. IL COMMISSARIAMENTO E L'INCHIESTA DI NAPOLI

 

7. SCHEDE DEI LICEI DI SAVONA



 

 Inizio Pagina