MARIENI SAREDO

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+ Biografia by Giacomo Lombroso

+ Italiani alla Campagna di Russia

+ La Battaglia della Bèresina

   

+ Souvenirs du Général Vionnet

COLONNELLO GIUSEPPE MARIENI

 

+ Epopea del Corpo Sped.Italiano

CAPO BATTAGLIONE DEL GENIO NAPOLEONICO

 

+ La Division Suisse

NELLA CAMPAGNA DI RUSSIA

 

+ The Bridges that Eblé built

     

LA BATTAGLIA DELLA BERESINA

   


L’EPOPEA DEL CORPO DI SPEDIZIONE ITALIANO NELLA PRIMA CAMPAGNA DI RUSSIA

 

 

L’altra Nikolajewka  Di Giulio de Rénoche
 

Il primo luglio 1812 passarono il Niemen. Il 2 raggiunsero Zismori, il 7 Ruduiki, il 17 Dolghinow, il 22 Kamen, il 24 Dwina.
Gli italiani avanzavano velocemente nella Russia bianca. Il corpo di spedizione del Regno d’Italia, forte di ventisettemila uomini, cinquantatré cannoni e novemila cavalli, era partito mesi prima da Milano e da Trento per concentrarsi in Polonia, in attesa del fatidico via. La determinazione degli ufficiali era totale, la convinzione massima.
I telegrammi andavano veloci, giungevano dopo sei-otto giorni di via ottica, tramite segnali che non s’interrompevano mai. Già allora gli italiani di Venezia, Trieste, Verona, Milano lo sapevano dai giornali. E chi non sapeva leggere lo ascoltava da chi lo raccontava per le strade, le piazze e le osterie… Gli italiani sono giunti a Karpovitze… Il 13 agosto erano a Janovistsch… Il 15 hanno varcato il Dniepr e il 16, verso sera, sono arrivati a Krasnoje.

Nomi esotici che nessuno conosceva, pur conoscendo tutti la meta. I soldati puntavano dritto su Mosca.
Componevano la piccola armata una divisione di quattordicimila unità al comando del generale Pino, capo di stato maggiore dell’intera spedizione; la divisione “guardia reale” con seimila uomini guidati dal generale Lechi; un reparto del genio, il quinto zappatori, con cinquemila specialisti al comando del colonnello Zanardini.
A quest’ultimo erano aggregati quattrocentocinquanta pontieri e barcaioli, indispensabili ad affrontare i grandi fiumi lungo i quali spedire celermente i rinforzi. In agosto giungevano altri duemilacinquecento uomini e seicento cavalli.
Carlo Cattaneo, che giovanetto aveva visto sfilare in partenza da Milano, tra lo sventolare di fazzoletti tricolori e le lacrime delle madri, il battaglione cadetti della guardia reale, li aveva chiamati “divina generazione”.
Andavano incontro a un’oscura voragine bianca, ma ancora non lo sapevano.
Per loro era importante andare, e con la loro bandiera. Anziché servire sotto divisioni francesi avevano preferito la divisa

 

 

di panno grigio bordata di verde di un esercito che nel nome e nei fatti era già italiano.

 

Generale conte Teodoro Lechi

 

 

Il 24 luglio, a Vitebsk, il battesimo del fuoco. Kutusow mandò i suoi a tagliare la linea dei rifornimenti e la divisione Pino andò al contrattacco.
I cannoni della guardia reale fulminarono i russi e Scipione della Torre, attraverso la foresta, guidò il battaglione leggero. Ma i russi si ripresero, cannoneggiando a loro volta i reparti francesi e volgendoli in fuga. Disse allora il viceré Eugenio Beauharnais: “Confido nella mia brava guardia”. Fiducia ben riposta.
Il colonnello Peraldi
sguainò la sciabola e gridò “Viva l’Italia!”.
Andarono avanti con il battaglione coscritti della guardia e travolsero il nemico.

 

 

Generale Michail Kutuzow

 

La vittoria fu totale, ma il prezzo alto: quasi un migliaio i morti e tremila i feriti.

 

Generale Pino

La divisione dovette fermarsi, e fu così che non giunse in tempo per la battaglia della Moscowa. Ad essa partecipò un solo italiano, il conte Arici, scudiere del viceré, mentre la guardia reale fu tenuta di riserva.
Gli italiani si offesero quando Napoleone non li nominò tra i reparti che avevano meritato il massimo elogio. Se il successo era stato possibile, lo si doveva anche ai sacrifici del mese prima. L’imperatore dette loro soddisfazione, ponendoli in testa alla colonna di punta. Il tricolore bianco, rosso e verde entrò a Mosca il 13 settembre 1812, dalla porta di San Pietroburgo.

 

 

Vasilj Vareshchagin (1897) - Napoleone sulle alture di Borodino 

Quello italiano fu l’unico esercito a portare a casa per intero il proprio bottino. Sfumate le speranze di pace, deciso il ritorno per l’approssimarsi dell’inverno, il 3 ottobre furono rimpatriati seicento tra feriti, malati e convalescenti, con merce e sussistenza al seguito.

 

Appena dieci giorni dopo, il calvario dell’Armée.
Puntando a sud-ovest, verso il nodo stradale di Malojaroslavetz, questa si vide tagliare la strada da Kutusow in persona.
Ancora una volta toccò agli italiani. Andarono tutti all’attacco: la guardia, i milanesi di Pino, i reggimenti migliori, la cavalleria. Anche i cannonieri fecero il loro dovere. Due volte a passo di carica, poi all’arma bianca. I quadrati dei russi si disfecero sotto l’impeto dei “veliti reali”. Kutusow dovette ordinare la ritirata e indietreggiare di dieci miglia.
La via era libera, ma a un prezzo durissimo: un terzo degli effettivi era fuori combattimento.

Poi cominciò l’odissea vera e propria.
A Smolensk il nemico era riuscito a incendiare i magazzini del biscotto, mentre le truppe raccogliticce che componevano il presidio si erano date al saccheggio. Gli italiani furono mandati avanti per primi e dovettero combattere sia contro i saccheggiatori, sia contro i cosacchi. Poi si diedero da fare per salvare il salvabile, riuscendo a recuperare un terzo dei viveri e delle munizioni. Ma gran parte del foraggio era andato perduto.
Di lì a Vyazma e fino alla Berésina, per trecento miglia, si consumò la tragedia. Morti i cavalli si dovettero abbandonare i cannoni, mentre la cavalleria russa faceva quel che voleva. Villaggio dopo villaggio, si procedeva combattendo all’arma bianca.

 

Disegni e schizzi fatti da soldati o ufficiali

 

Beresina Costruzione dei ponti

 

Pontieri -  disegno di Nathan

A Vyazma per gli italiani sembrò la fine.
Circondati, fecero quadrato con i pochi pezzi d’artiglieria rimasti. La guardia non aveva più le sue belle e sgargianti uniformi; la fanteria era a brandelli; i pochissimi cavalli erano riservati agli ufficiali e i soldati esausti si gettavano a terra in attesa della fine.

Fu dato l’ordine di bruciare le bandiere.
Ma un piccolo gruppo di uomini si fece largo a spintoni e a badilate. Era quanto rimaneva del quinto zappatori del colonnello Zanardini.
I genieri cominciarono nell’acqua gelida a puntare i pali, inchiodare le assi e puntellare i supporti: un’intera giornata per un ponte lungo milleseicento metri.
Sotto le cannonate dei russi, tra i cavalli che affogavano tentando il guado e portando con sé i miseri cavalieri. L’opera fu ultimata e molti, i più fortunati, ne approfittarono subito.
All’alba il ponte fu distrutto dal tiro nemico, e per consentire il passaggio dei superstiti furono schierate le ultime artiglierie.
Poi fu dato l’ordine di inchiodare i cannoni. L’artigliere Ciavardini, prima di cadere trafitto dai cosacchi, inchiodò il suo gridando: “Se non puoi servire a Napoleone, non servirai contro di lui”.
La mattina seguente poco più di un migliaio di sopravvissuti si radunarono intorno al principe di Venezia. Qualche centinaio ancora, nei giorni successivi,

Ponti della Beresina - Litografia Nederlandsch museum

si aggiunsero a piccoli gruppi, passati per chissà dove, guidati solo dal miraggio della Patria lontana. I generosi pontieri non erano tra loro.

Zanardini, Marieni… tutti inghiottiti dalle acque del fiume (1).

Poi, dalla bianca distesa, più nulla.
Non un suono di tromba o un rullio di tamburi di marcia. Non più calpestio di cavalli, né rumori di battaglia. Calò il silenzio sui duecentocinquantamila rimasti nella neve, che solo la primavera successiva avrebbe fatto riaffiorare. Tra questi, più di ventimila nostri connazionali.

A memoria del loro sacrificio, di lì a poco, i versi dolenti di Ugo Foscolo, che vedrà in essi il principio dell’indipendenza italiana.

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Nota (1) I Colonnelli Zanardini e Marieni morirono di tifo alcuni mesi dopo la battaglia della Beresina.
Vedi G. Lombroso
nella sua opera "Vite dei Primarj Generali e Ufficiali che si distinsero nelle guerre Napoleoniche dal 1797 al 1815", Milano, Coi Tipi Borroni e Scotti, 1843
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    SOUVENIRS DU GÉNÉRAL VIONNET

    THE BRIDGES THAT ÉBLÉ BUILT

  LA DIVISION SUISSE

 

 

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