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DON CARLO (o CARLO BERNARDO) MARIENI

 

 

 

ECCLESIASTICO - LETTERATO - REPUBBLICANO - DOCENTE UNIVERSITARIO

 

SONETTI IN MORTE DI CARLO MARIENI di autore ignoto

 

 

In Morte di Carlo Marieni
Sonetto 1

        Oh Carlo, o saggio tra mortali e degno
Di memorando onor, chi m' avria detto
    Che quando la tua man mi strinsi al petto
Ti dava d' amistà l' ultimo segno?       
       Oh quale in te perdei luce e sostegno
Del letterario mio nobil diletto?           
 Qual perdettero in te soave obbjetto    
Di lor cure i conjiunti e quale ingegno? 
  Alma cara e beata, ora del mesto
Amico ecco il saluto, ed il verace        
  Mertato onor sulla tua tomba è questo; 
 Fior di rara virtù Carlo qui giace,
Che di eccelsa dottrina e cor modesto 
  Visse col Cielo e con se stesso in pace.
 
 

 

 

In Morte dello Stesso
Sonetto 2

Deh, se in te siede, o Carlo, un qualche lento  
 Pensier d' umana cura, a me pur pensa;  
 Guarda à conjiunti tuoi cui non dispensa  
          Tregua di duol, che per essi, anch' io più sento  
Prega che a noi pur scenda alcun momento    
Di quella luce, che tu godi immensa,      
Onde nostra natura al mal propensa      
Più si avvivi del meglio al grande intento
Poi la pietà di Lui, che t' innamora,               
Per te, mandi ai dì nostri infermi e bui    
Il bel fin, che te scorse all' ultim' ora.    
Tu tranquillo passasti, esemplo a noi             
     Di giusto cor, tu, che, in tuo danno ancora 
  Mai non tacesti il vero a pro d'altrui.       
                                                                              D.M.R

 

In Morte dello stesso
Sonetto 3


     Lascia che di te parli or che m' è tolto
Di udirti; anco il parlar tempra l' affanno; 
Vivo il vederti in poche note scolto         
A chi già ti conobbe è dolce inganno       
E se i futuri dell'idea del volto        
Tien privi, i pregi del tuo cuor vedranno:   
Vedran fede, null' odio, affetto molto,      
E in te creduto il simular gran danno.       
     Pur dà tuoi labbri il biasimo, che giova,
M' era sprone a virtù, che non s' alletta    
In chi vuol plaudir, cui ragion non muova;  
 Che superbia di lode, ambita o detta
 In onta al mesto, d' alme basse è prova,    
 Ed è vil chi la porge e chi l'accetta.           
                                                                N.

 

 

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